- FRATE SIMUNI DENTRO LA LENTINITA' A cura di Gianni Cannone
- da un articolo tratto da "La
Notizia" per gentile concessione del suo direttore Nello La Fata
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- G.B. Nicolosi: "Qui, a Lentini,
vogliono molti si parli meglio che altrove la lingua siciliana" - A.
Gaspary: " Il primo monumento più ampio del dialetto siculo di data
sicura sarebbe, quindi, la Conquesta di Sicilia di Fra Simone da Lentini
dell'anno 1358"
- A distanza di circa cento anni dal sorgere
del volgare italiano di Jacopo da Lentini, ecco ancora un altro lentinese,
Frate Simuni, Federico III regnante, che costruisce, secondo la
qualificata ed autorevole stima del Gaspary,
il primo monumento più ampio del dialetto siculo di data sicura,
cioè la Conquesta di
Sichilia del 1358. Simuni da Lentini, come risulta dai suoi stessi
scritti, fu maestro
cappellano della cappella reale del re di Sicilia, Federico III, dal 1357
al 1358. Nella seconda metà
del Trecento,pertanto, la scena culturale siciliana è totalmente
caratterizzata dal francescano Frate Simuni da Lentini con l’opera la
Conquesta di Sichilia. La Conquesta potrebbe apparire, a prima
vista, soltanto una libera riduzione della Cronaca di Goffredo Malaterra,
redattore e animatore quest’ultimo della imprese normanne all’epoca
della loro calata nell’Italia meridionale. Da una più realistica
analisi scaturirebbe, invece, che tutta l’opera di Frate Simuni
ridimensiona semplicemente la portata internazionale della tematica del
Malaterra dalla quale trae motivi d’ispirazione diretta, limitandosi,
però, come fine precipuo, a trasferire in siciliano sulamenti quantu
tocca et apparteni a li fatti di Sichilia, lassandu la conquesta di li
altri parti di fora di Sichilia. Ad ogni modo,
anche sulla questione delle credenziali sentiamo lo stesso Frate
Simuni: Ad laudem omnipotentis Dei et utilitatem legentium ego, frater
Simon de Lentini, Regis Fridrici Confessor
Magister Cappellanus
Regiae Cappellae, standu in Chifalù, anno Domini MCCCLVIII, in
Quatragesima, mi misi in cori incominciari la Conquesta di Sichilia fatta
per li Normandi, la quali era in gramatica obscura et grossa et mali si
potia intendiri. E’ con la
letteratura religiosa, intanto, che il Trecento siciliano artisticamente
sopravvive. Senza Simuni da Lentini, pertanto, non ci sarebbero stati
nemmeno i presupposti
propiziatori per l’interesse logistico e linguistico dei fenomeni
culturali siciliani intorno alla storiografia volgare di quel tempo.
Simuni da Lentini attesta un modo di vivere tutto siciliano e, di
conseguenza, prepara e propone le sue concezioni e i suoi modelli in forme
dialettali organizzate, che ormai fanno
parte integrante, a pieni voti, vuoi o non vuoi, del patrimonio
culturale e linguistico della nostra terra e della nostra gente. La
tecnica della parola,il gusto della descrizione della storia, lo studio
delle vicende istituzionali e religiose, sono testimonianze che possono
magari cadere momentaneamente
in letargo, ma mai arrivare a presupporre che una tradizione venga ad
essere messa in predicato e cancellata per interruzione di conservazione.
Frate Simuni, perciò, nella tradizione dei testi storici volgari della
seconda metà del XIV secolo, è certamente
una nota rigogliosa e monumentale della letteratura siciliana
d’ogni tempo. Il Lentinese fu, in un certo senso, il vero e proprio
estensore della politica
culturale di quel regno. La narrazione degli
avvenimenti storici,
effettivamente siciliani, ed in siciliano, di cui era appunto valido
adornatore Simuni da Lentini, finiva dopo con l’essere destinata verso
gli strati sociali della popolazione di Sicilia. Si ripete, dunque, in
forma più ridotta e con ambizioni certamente minori, un modo di fare
politica e cultura simile a quello che tenne
banco meravigliosamente nella corte federiciana al tempo del Notaro
Jacopo da Lentini, dove era già in essere una realtà storico-linguistica
assai avanzata, proiettata verso l’unità di una lingua adattata ad uno
scopo e ad una coscienza tutti nazionali. Il prodotto romanzato dello
storico in latino Niccolò Speciale da
Noto, che interpreta il Vespro Siciliano sotto l’educazione e la disciplina linguistica e morale di Frate
Simuni dimostra, inoltre, senza ombra di dubbio, il grande e vivo
interesse esistente attorno all’immagine luminosa di questo grande
lentinese. Con Simuni da Lentini, dunque, non si contempla un mondo che più
non c’è ma si vive
piuttosto il valore profondo e incommensurabile di una tradizione,quella
siciliana che difficilmente presenta segni di vulnerabilità. Bisogna dare
atto, comunque, a quel G.B. Nicolosi da Paternò ( 1610/1670), scrittore,
geografo e anche cosmografo di gran pregio, il quale,parlando di Lentini,
soleva a ragione affermare: Qui vogliono molti si parli meglio che altrove
la lingua siciliana. Dalla lingua italiana e dal sonetto di Jacopo da Lentini al
siciliano di Frate Simuni, il
discorso della LENTINITA’ screzia di bagliori anche le nuvole più
lontane. Ma
questa LENTINITA’ va
continuamente tutelata, ben custodita
e orgogliosamente difesa in ogni circostanza;
mai uccisa, ingannata
o svenduta.