Lentini: Uomini illustri

Padre Di Stefano

Svolse la sua opera pastorale a favore della comunita' lentinese nella parrocchia SS.Trinita' fin da quando fu nominato sacerdote nel lontano 1931. Nacque a Monterosso Almo nel 1904 da umile famiglia di mugnai. Infaticabile predicatore della parola di Cristo, mori' nel maggio 1989 a Bethania in Siracusa.
 
Testimonianza di un suo ex-allievo   di Salvatore Caruso
Nei lontani anni sessanta, quando ancora frequentavo le scuole elementari dell’ex monastero, in quella vecchia struttura monastica con la statua di pinocchio che graziosa signoreggiava là, dove tanti vecchi insegnanti avrebbero visto meglio l’effigie di Garibaldi, di Cavour, o di chi altro, ho avuto una grande fortuna, conoscere padre Di Stefano. E conoscerlo come insegnante di religione è stato un evento veramente magnifico, specialmente dopo una breve e povera esperienza che avevo sofferto dalle suore Orsoline. 
Quando per la prima volta padre Di Stefano entrò nella mia aula, quasi correndo, com’era solito fare, ricordo benissimo che l'impressione che ne ebbi, fu quella di vedere una persona cara, come se fosse uno di famiglia; non un padre, ma uno zio prossimo cui mi sarei, naturalmente, affezionato. Così fu, e negli anni che seguirono instaurai un rapporto di facile benevolenza con quel prete buono e fin troppo affabile. Egli raccontava i vangeli allo stesso modo della mia bisnonna “Maruzza”, che mi narrava le stupende fiabe dell'indimenticabile Pollicino, o della Fata dei fanciulli. Certamente, ricordi chiari, freschi della mia età più bella.
Aspettavo con ansia l'ora di religione, e in quell'ora mi perdevo insieme a tanti altri ragazzini affascinati, semplicemente ad ascoltare la voce del padre Di Stefano ed i "racconti" che recitava con la semplicità di quei rari uomini che sanno quello che dicono. Ricordo che eravamo in tanti a restare affascinati e felici nell’ascoltare le sue parole semplici e piacevoli, meravigliosamente sobrie e fruibili; era capace di galvanizzare l’attenzione di oltre trenta ragazzini - teste matte - e di far sognare le menti più indisposte alla vita e alla passione di Cristo; ed io ero uno di quelli!
In chiesa, a dire il vero, quand'ero piccolo ci andavo sempre malvolentieri (quel vezzo m'è rimasto anche ora) e tranne qualche circostanza particolare, l'unica occasione per ascoltare il padre Di Stefano era in classe, a scuola, nell'ora sublime della "buona intesa". Chiaramente, di questa mia indolenza lui ne era al corrente, lo sapeva che sfuggivo come meglio potevo agli inviti che a tutti ci rivolgeva di andare a messa, almeno la domenica mattina. Ma, la cosa più strana, conoscendolo è stata quella che mai me ne fece un esplicito rimprovero, e non perché non ci tenesse che andassi a trovarlo in chiesa, ma cosa posso dire…, lui era fatto così, mai avrebbe imposto la sua volontà sugli altri. Solo quando mi sposai e per forza dovevo confessarmi, ovviamente, cercai di padre Di Stefano che ormai era divenuto quasi cieco (solo con lui avrei fatto quella "fatica", che poi sentivo solo come un obbligo autenticamente burocratico e formale). Qualcuno gli riferì di quella mia aspirazione; era il motivato desiderio di un suo ex alunno che, fra l'altro, egli stesso aveva battezzato a suo tempo. Lo vidi riflettere per un attimo, poi disse un no secco, categorico! 
Allora, mi avvicinai e lo chiamai sottovoce, mi sentivo come un verme e provai disgusto di me stesso, quasi che mi toccassi con le mie mani, viscido e ripugnante. Padre Di Stefano mi passò leggermente le dita sul viso, riusciva a vedere solo le sagome delle persone, e incominciò a tirarmi l’orecchio con tutta la forza che gli rimaneva in corpo. Mi aveva riconosciuto, ne ero convinto, me lo disse! “Io ti confesso, ma prima ti devo punire per tutte quelle volte che non sei venuto nella Casa del Signore” - questo mi disse e poi mi parlò dei miei genitori e di mio suocero, e così via per farmi sapere che lui si ricordava di tutto e di tutti. Davvero tutto questo era padre Di Stefano, il buon prete che ci chiamava figlioli e non per dire, ma veramente si proponeva a tutti noi come un padre, tanto che sin dentro l’anima ci faceva provare la sua enorme umanità: l'essere un vero padre, degno del rispetto e della devozione che deve essere riservata a tutti i Padri. 
La sua fede era qualcosa d’eccezionale, quel tipo d'ideale religioso che mai si discute, che già con gli anni diviene assodato e si può esporre agli uomini, definitivamente, inattaccabile. Le sue parole erano verità assolute, e in lui c’era la certezza di quello che diceva, mentre gli occhi gli lucevano solo a nominare Gesù, di una luce spirituale che gli spuntava dal cuore per uscire allo scoperto e per donarla, disinteressatamente, a chi lo ascoltava. Il racconto evangelico di padre Di Stefano era un crescendo di genuine emozioni che facevano vibrare la struttura del nostro animo incolto, e le sue parole mansuete ed equilibrate scolpivano la nostra mente giovinetta, come uno scalpello che lavorava di fino sul duro plastico della memoria per trattenerle lì, in maniera indelebile e sempre leggibili, per essere ricordate anche dopo i nostri quarant’anni. 
Ho voluto veramente bene a quel prete con la testa pelata, padrone d'una volontà di ferro e d'una caparbietà da montanaro, con un cuore dolce e semplice di bambino e, nello stesso tempo, duro ed aspro come la nostra terra siciliana. In quegli anni, a dire il vero, ci fu un altro prete che ho stimato ed ho amato tantissimo, quasi come padre Di Stefano. Era un prete che non ho conosciuto di persona, ma lo vedevo solo attraverso la televisione e i giornali, era Giovanni XXIII, il papa buono. Oggi, quasi mi commuovo a ricordare questi due uomini di Chiesa che avevano tanto in comune tra loro, una cosa fra tutte: l’umanità.
L’umanità di padre Di Stefano era proverbiale, aperta a tutti, senza schemi, senza confini, ovunque, in ogni momento della sua giornata e di tutta la sua vita. Egli era un uomo ricco d’esperienza umana e, proprio come il suo pontefice, sapeva muoversi dentro i meandri della variegata individualità degli esseri umani; egli sapeva districarsi all'interno di ogni tipologia sociale, dall’umile vecchietta all’alto notabile, ed era come se trattasse sempre con un'unica persona. Comunque, al di là della cultura canonica e dei semplici concetti della vita, distinti essenzialmente in bene e male, al di là della genuina morale e del modo di essere spontaneo e diretto, di padre Di Stefano mi resta  una chiara figura di grande pedagogo, quasi che fosse un predestinato a divenire tale, oltre all’essere un prete costruito sulla vera vocazione spirituale. 
Di quanto detto, sono stato un testimone diretto; del dopo, del periodo in cui mi allontanai - per così dire - da padre Di Stefano, ho saputo (per voce d'altri) che si dedicò, sempre con maggiore costanza, all’esorcismo e a quelle pratiche mistico-religiose adottate per combattere il maligno. Io non sono un partigiano della dottrina cattolica, né di altri peculiari dottrine ecclesiastiche. Credo in Dio, un Dio “personalizzato”, un Dio cosmico e superlativamente superpartis (…) dunque, nel merito di questa divinazione non saprei dare un giudizio. Nel caso di padre Di Stefano, posso affermare che mi dispiace tantissimo, a mio modo di vedere, che si sia imbarcato in quella discutibile pratica dell’esorcismo istituzionale che la chiesa cattolica adopera e che ufficialmente non ammette. Per quanto mi riguarda, credo che quegli anni siano stati gli anni più bui del padre pedagogo che, certamente, poteva essere un eccellente catechista, un esemplare uomo di fede, ma non lo comprenderò mai come uno "stregone" coi paramenti sacri che tenta di scacciare la malattia che è nell’uomo, magari a spruzzi d’acqua benedetta e a cantilene di inaudita banalità. 
Quando padre Di Stefano morì nel 1989, ormai era da parecchio tempo che non avevo più sue notizie né, precedentemente, mi ero preoccupato di conoscere le sue condizioni di salute. Tutto questo fa parte del mio modo di essere in negativo che, per fortuna, riconosco e purtroppo non so correggere. Egli, però, rimarrà per sempre nei miei pensieri, fra i miei ricordi più belli da custodire, tra gli uomini veri che ho conosciuto.
Salvatore Caruso per Lentini Urbs Nobilissima.