- Giuseppe
Luigi Beneventano
- Barone della Corte
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- Nel 1901 la tipografia Eugenio Coco di Catania
dava alle stampe un manoscritto di Giuseppe Luigi Beneventano, barone della
Corte del Regno di Vittorio Emanuele III, col titolo: "Cenni
Storici Della Famiglia Beneventano". In buona sostanza, si trattava
di un elogio - una celebrazione – (al casato e a se stesso) che l’autore
(il barone) sentiva il bisogno di pubblicare, soprattutto dopo l'onore
elargitogli da Vittorio Emanuele III, Re d'Italia, che gli aveva conferito
il titolo di Barone della Corte. Praticamente, quel prestigioso titolo non
faceva altro che consacrare l’anziana aristocrazia della famiglia
Beneventano, discendente dalla blasonatissima casata degli Orsilei di Roma,
al vassallaggio del “nuovo” regno dei Savoia .
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- Alcuni discendenti del casato romano si erano
stabiliti a Venezia, ma in seguito ad alterne fortune furono costretti a
trasferirsi a Benevento, dove acquisirono il nome distintivo di Beneventano.
Ma, anche in questa città non rimasero molto a lungo, e per sopravvenuti
litigi e dissapori con la nobiltà locale si trovarono nelle condizioni di
dovere abbandonare la cittadina campana.
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- Pertanto,
Matteo Beneventano Orsileo, sposo di Flaminia Colonna, nel 1292 emigrò in
Sicilia, dove con la protezione di Federico d'Aragona, pose le basi per una
stabile sistemazione della sua famiglia in Lentini. Malgrado ciò, bisogna
aspettare il 1639 affinché il casato dei Beneventano, in Sicilia, ottenga
il riconoscimento e l’iscrizione alla Mastra
Nobile, potendo legittimare il titolo nobiliare originario e assumendo
un nuovo stemma araldico.
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- La
vita dei baroni di Beneventano non fu sempre facile ed agevole, come si può
constatare dalle peripezie che dovettero attraversare. Solo a cavallo tra i
due secoli XIX e XX ebbero il loro massimo splendore e in particolare, con
l'ultimo, grande esponente del casato, proprio con Don Luigi Peppino
Beneventano.
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- Il
barone Don Peppino nacque a Carlentini il 13 novembre 1840 da Saverio
Beneventano e Concetta Modica. Fu un eccellente studente, sia per lo studio,
sia per il profitto, e a soli venti anni si laureò in Giurisprudenza con il
massimo dei voti. Sindaco di Lentini ad appena 21 anni, seguì una carriera
politica molto soddisfacente che lo vide al culmine della sua affermazione
sugli scranni del Senato del Regno nel 1908.
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- Di Beneventano ha scritto il giornalista
Giuseppe La Pira: "…la sua
carriera fu tutta un'ascesa verso mete sempre più alte, ovunque portando la
sua esperienza di uomo di largo ingegno e d'inclito legislatore. Alle
elezioni politiche del 1874 fu eletto deputato al parlamento nazionale per
il collegio di Augusta.
Si
era in quel periodo di assestamento
nazionale che seguiva l'avvenuta unificazione dell'Italia; erano i giorni di
febbre di una nazione che lentamente si consolidava; quando, soprattutto,
maturavano in quel campo le riforme. La situazione finanziaria si presentava
critica, le condizioni dell'Italia meridionale erano assai tristi: la
malaria, l'analfabetismo, la miseria, la delinquenza costituivano
altrettante piaghe che bisognava sanare.
Mai
come in questa occasione (…) Giuseppe Luigi Beneventano rifugge dal tetro
pessimismo che invece esprime il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Per lui
la Sicilia non è quella che don Fabrizio Salina descrive al piemontese
Chevalley: " stanca per il
peso di magnifiche civiltà eterogenee tutte venute da fuori da almeno
venticinque secoli;" e neppure "una centenaria, trascinata in
carrozzino all'Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla e
che s'impipa di tutto (…) che agogna soltanto a ritrovare il proprio
dormiveglia fra i cuscini sbavati e l'orinale sotto il letto." Il
giovane L.G. Beneventano sa che questo non è vero, sa che la Sicilia ha
solo bisogno di nuove leggi, ma in special modo di uomini che a queste leggi
dessero l'impronta della propria matura personalità."
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- Con
ciò, il barone don Peppino Beneventano, non può essere inteso come un
pessimista nel senso strettamente filosofico, egli non ha una visione
malinconica della vita, basata sulla convinzione dell’incombente e
costante prevalenza del male sul bene, o della negazione del progresso e del
miglioramento personale e comune, ma pur sempre resta un uomo diffidente e
guardingo nei confronti dell’iniziativa umana. Allora, se egli non è
pessimista della vita, sicuramente dimostra di esserlo almeno degli uomini o
delle rivelazioni degli atteggiamenti umani, un po’ - come dire - che
aveva la tendenza a giudicare il lato peggiore delle cose: “la
consapevole impossibilità per l’uomo di conseguire il fine che la sua
stessa natura si propone” che, testualmente, rappresenta il pensiero
di Benedetto Croce in merito all’argomento.
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- Molti
storici sono concordi che in Sicilia, il Medioevo finì nei trent'anni
successivi al 1700, o giù di lì, almeno dal punto di vista della cultura
storica e sociale, perché per quanto riguarda le condizioni individuali
delle classi povere, bensì le limitazioni igieniche e ambientali non si
ebbero dei significativi cambiamenti fino all'inizio del ventesimo secolo, e
anche oltre. In Sicilia, furono i baroni, i discendenti diretti dei principi
medievali, o per essere più esatti di quei Viceré arroganti, incolti e
potenti che furono descritti, sapientemente, dal De Roberto. Comunque, da
tali storici predecessori, i baroni n'ereditarono tutte le caratteristiche
peculiari: la protezione delle masse indifese; l'elargizione di aiuti
alimentari nei periodi di carestia; l'amministrazione della giustizia, che
dall'epoca dei Viceré fu "subappaltata" ai vassalli prediletti; i
soverchianti diritti sulle persone che sovrintendevano; le angherie e gli
arbitri consumati ai danni della povera gente. Inoltre, rappresentarono una
triste piaga all'interno della struttura sociale della Sicilia, e da loro,
tramite i camperi che
rappresentavano il braccio armato delle baronie, per certi versi, si avviò
l'intero fenomeno mafioso.
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- Don
Peppino Beneventano fu un esponente molto liberale della casta baronale e -
ben per lui - un raro esemplare di umanità e coraggio, soprattutto per la
sua magnanimità, per la tolleranza e l’altruismo che sapeva dimostrare
alla gente, nettamente, in controcorrente con i tempi e con le fazioni di
potere della sua epoca. Senza rischio d'essere smentiti, possiamo affermare
che don Peppino Beneventano è stato per Lentini un grande mecenate ed un
eccellente uomo politico: partecipe rappresentante degli interessi della
collettività e dei bisogni primari che questa esprimeva.
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- Il
distacco che quest'uomo ebbe nei confronti del denaro e la considerazione
relativa alle esigenze che esso può soddisfare, fu solamente sintomatico.
Egli era consapevole di essere un ricchissimo potente, e doveva essere
altrettanto consapevole del fatto che parte delle sue ricchezze derivavano
dal lavoro di anonimi operai. Dunque, oltre ad un’innata umanità doveva
possedere la coscienza del suo stato sociale, che percepiva strettamente
legato all’umile lavoro dei "suoi" uomini, e forse per questo
trattava le proprie maestranze meglio di quanto potevano fare gli altri suoi
pari, e in notevole misura ne teneva in conto i bisogni e le urgenze che gli
venivano manifestati. Moltissime doti (corredi e apparati di nozze) furono
sostenute dai suoi prestiti in denaro che, nella maggior parte dei casi, si
trasformavano in semplici donazioni. Molte opere pubbliche e numerosi
servizi di pubblico interesse furono avviati e sostenuti, nonché,
realizzati per mezzo dei finanziamenti (a fondo perduto) del barone
Beneventano.
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- Dunque,
si potrebbe azzardare che don Peppino attuasse quello che poi ha definitivo
uno dei capisaldi del socialismo classico: in pratica la ridistribuzione
delle ricchezze alle masse lavoratrici. Ad ogni modo, Beneventano visse una
lunga vita intensa e stimolante, e non priva di avventure galanti. Si sposò
due volte: rimasto vedovo della prima moglie Anna Geronimo dalla quale ebbe
quattro figli, sposò la sorella minore di questa, Felicia che gli dette
altri due figli.
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- Il 27
marzo 1934 don Peppino morì a Lentini, e furono in molti a piangere la sua
scomparsa. Il dopo Beneventano è stato un periodo triste e decadente sia
per il casato dell'illustre mecenate, sia per la stessa Lentini che si trovò
priva di una guida di grande qualità. Il figlio Francesco Paolo,
primogenito di casa Beneventano, precedette la morte dell’illustre
genitore di quattro anni e quindi, per diritto di nascita, il successore del
titolo nobiliare e dell’immensa fortuna dei Beneventano della Corte spettò
al primogenito di Francesco Paolo: Luigi Giuseppe V°.
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- Il
novello Barone fu un eccezionale studioso e cultore degli studi matematici e
fisici (forse uno dei ragazzi di via Panisperna), tanto dedito alla cura
della mente, quanto staccato e avulso da tutte le cose materiali. Egli, vuoi
per sfortuna, vuoi per incapacità vera, assistette e partecipò con estrema
indifferenza alla dilapidazione dell'intera fortuna della sua stirpe, e in
pochi anni dalla morte del padre e del nonno, "u
baruneddu" Luigi
Giuseppe, uomo solitario e tremendamente debole nel fisico e nel carattere,
subì un vero e proprio saccheggio dei suoi legittimi beni. La razzia dei
possedimenti e la totale devastazione della dignità dell’antica famiglia
fu principiata, soprattutto, dalla sua governante che, senza dubbio,
rappresentò il principio della sua distruzione e la rovina della
discendenza dei Beneventano della Corte.
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- Questa
donna molto grassa e sgradevole nell'aspetto complessivo, volgare da ogni
punto di vista – questo di lei si racconta da chi l’ha conosciuta di
persona, - ebbe la capacità di plagiare anche l'anima del barone Luigi
Giuseppe, sino al punto di diventare lei l'assoluta padrona di casa
Beneventano. Così, l'ultimo dei baroni del nobile casato dei Beneventano
della Corte diede licenza ad una serva di scialacquare il patrimonio che i
suoi antenati (il nonno don Peppino in
particolare) gli avevano affidato.
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- Poco
o nulla rimase in quel palazzo baronale quando la perfida donnaccia decise
di andarsene per sempre. Debiti e malversazioni d'ogni genere decretarono il
triste e clamoroso declino dei Baroni di Beneventano. Un declino che non ha
avuto più termine: dopo la morte del barone Luigi Giuseppe, il palazzo
baronale e tutto quello che rimaneva del prestigio e delle ricchezze dei
Beneventano furono messe all'incanto in un'asta pubblica. La meravigliosa
biblioteca (d'immenso valore culturale e storico) fu acquistata da un
privato cittadino, mentre l'immobile (opera dell'architetto Sada) fu
acquisito dal Comune di Lentini che fino ad oggi, per esemplare turpitudine,
lo utilizza come deposito dei veicoli della nettezza urbana.
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- (dall'introduzione de "il nobile
falco" di Salvatore Caruso - NCER Milano 1998)