IN RICORDO DI SEBASTIANO ADDAMO di Lorenzo Marotta per LentiniOnLine.it
con un suo intervento inedito del 1995 sulla poesia del nostro tempo
Ricordiamo tutti Sebastiano Addamo come una persona schiva, minuta, riservata, a tratti distratta. Lo vediamo quasi scomparire dietro ai suoi spessi occhiali di miope, sprofondato nelle sue giacche larghe, dimesse, silenzioso,con lo sguardo perso dietro ai fantasmi della sua mente di narratore e di fine poeta. La terra di Sicilia è prodiga di talenti dimenticati dalla sagra televisiva del momento, ma non i siciliani che a quelle voci sono debitori di una identità culturale e storica di cui non possiamo fare a meno. Cosi per Leonardo Sciascia, per Gesualdo Bufalino, per Vincenzo Consolo, per Giuseppe Bonaviri, tutti scrittori autentici, le cui opere dovrebbero trovare più spazio nelle scuole, fra i giovani. Conoscere e rileggere le loro opere come ricerca delle nostre radici, come comprensione più piena della storia di questa isola sospesa nel mediterraneo, aperta da tutti i lati a cogliere ed intercettare gli umori culturali di altri mondi, di altre terre vicine e lontane. Non solo un omaggio ai nostri scrittori, ma un debito di riconoscenza e di memoria. Anche perché, come per Sebastiano Addamo, le parole sulle sorti della poesia, pronunziate con un filo di voce Sabato 18 giugno del 1995 nel salone dell’Azienda di Cura e Soggiorno di Acireale a margine della cerimonia di premiazione del Premio nazionale di poesia inedita promosso dal Kiwanis Club di Acireale, sono attuali, sorprendentemente vere. Una prolusione dimenticata, rimasta sotto la polvere dell’oblio, se non fosse venuta alla luce per caso, frugando tra le mie carte e il materiale abbandonati nei cassetti di casa. Allora chi scrive volle Sebastiano Addamo come presidente della giuria. Ricordo la mitezza della sua voce quando gli telefonai per chiedergli la sua presenza. Come pure la finezza con la quale sapeva cogliere sfumature e immagini nella selezione delle poesie da premiare. Anche durante la cerimonia Sebastiano Addamo sembrava quasi chiedere scusa della sua presenza. Le luci, i riflettori, quel qualcosa di mondanità che inevitabilmente accompagnano queste serate non erano per lui. Egli era abituato alla penombra, ai silenzi della sua anima, ai rumori dei suoi pensieri e della sua mente. Figura di intellettuale di altri tempi. Basta leggere i suoi libri, i romanzi “ Violetta”, Mondadori 1962, “ Il giudizio della sera” Garzanti 1974, “ I mandarini calvi” Scheiwiller 1978, “ Un uomo fidato, Garzanti 1978, le opere poetiche “Significati e parole, Guanda 1979, “ La metafora dietro a noi” Spirali 1980, “ Il giro della vite” Garzanti 1983, “ Il bel verbale”, Scheiwiller 1984. Un editore, quest’ultimo, di finissimo talento letterario, anche lui schivo, se pure sempre gentile all’incontro. Le sue edizioni di opere poetiche rimangono delle chicche preziose per la cultura italiana, esempio di editori colti e raffinati. E agli Editori Sebastiano Addamo dedicò un aureo libretto dal titolo “ Racconti di Editori”, pubblicato in edizione numerata proprio da Scheiwiller nel 1991. Ne conservo, come reliquia una copia, la numero 220, con la dedica fattami il 23 aprile 1994. Un’attestazione di stima, scritta con grafia incerta. Ma ora sentiamo la sua voce, attraverso le parole che pronunziò nel corso della premiazione dei poeti vincitori.
Una riflessione sulla “poesia”, senza un duro giudizio sulla facile pretesa di essere poeti e di fare poesia. “Nell’insieme i testi, per la maggior parte, mi sono apparsi un po’ opachi e ripetitivi, in qualche caso addirittura raffazzonati ed anche velleitari. Ho notato un fenomeno curioso: molti di questi testi avevano come referente le canzonette”. Per il nostro poeta la poesia non può avere una realtà artificiosa, inautentica. Una commistione che egli volle denunciare, portando ad esempio il cantautore Bob Dylan, che mutuò il nome in riferimento alla poesia del poeta inglese Ivan Thomas, alla quale sentiva di ispirarsi. Ora per Sebastiano Addamo era all’incontrario. "Ho notato la mancanza di ricerca, di scavo linguistico, di appiattimento tematico, una mancanza di invenzioni e di arditezze”. Poi, quasi una sentenza lapidaria: “Con i buoni sentimenti non si fa letteratura, né arte, né poesia”.
Alla domanda di “che cosa è la poesia?”, posta da alcuni, Sebastiano Addamo disse che quella domanda l’aveva inquietato durante la notte. “Personalmente non c’è una risposta ed io nemmeno la tenterò”, disse. Poi, quasi parlando a se stesso aggiunse: “Si può dire che la poesia è inquietudine, angoscia, talora anche ebbrezza e gioia. Lacrime di gioia, scriveva Pascal utilizzando un ossimoro. Pascal non era poeta, bensì un mistico, un uomo di religione. La poesia può avere a che fare con tante cose: con la cultura in genere, con i problemi dell’economia politica che non può ignorare. Oggi, infatti, la poesia non ha mercato. Gli editori la stampano con difficoltà, non ha pubblico, al massimo qualche lettore”.
Addamo porta ad esempio la sua vicenda personale. Per la pubblicazione delle sue opere di poesia gli Editori non prevedevano alcun anticipo in denaro, a differenza dei suoi romanzi e dei suoi saggi. “Io pensavo che la poesia fosse al di fuori dell’economia politica. Purtroppo non è così. Nel rapporto tra il dare e l’avere la poesia è sempre in perdita. Forse è per questo che accetto di partecipare come commissario ai concorsi di poesia, poiché si tratta di giovani che comunque si impegnano in un’attività senza fini di guadagno. Un’attività del tutto gratuita”.
Sebastiano Addamo ricorda il grande Montale e quello che disse nel 1985, durante la cerimonia di conferimento del Premio Nobel per la letteratura. “ Montale, riprendendo motivi già esposti in un suo libro del 1966, Auto da fè, osservava come il mondo dell’industria, della riproducibilità e della consumabilità sta avvallando una poesia ridotta a spettacolo e a consumo. Da qui la domanda: è ancora possibile la poesia? Montale non ha alcuna risposta. Forse la sente inutile. Una perplessità che in verità attraversa tutto il nostro secolo e che non può essere rimossa né elusa”. Perché i poeti ? “ Era stata la domanda che si era posta Martin Heidegger nel 1946, commemorando l’anniversario della morte del poeta G.P.Richter. Heidegger utilizza il testo della poesia intitolata Pane e vino di F. Holderlin. Egli si chiedeva il perché dei poeti nel tempo della povertà. Un tempo non soltanto caratterizzato dalla mancanza di Dio, ma consumato, divenuto tanto povero da non potere riconoscere la mancanza di Dio come mancanza”. A questo punto Sabastiano Addano tenta di rovesciare la domanda. “ La questione implicita è se nel tempo dell’inautentico, della banalità, possa trovare posto la poesia? E’ importante, intanto, che la domanda sia stata posta. Montale in fondo lo ribadisce quando si chiede se è possibile la poesia. Chiedersi del perché della poesia significa che è in questione la sua necessità”. “ La poesia nel mondo d’oggi appare perdente. Ci si rende conto che i libri di poesia sono manoscritti dentro una bottiglia lanciata in mare. Se incontra una corrente favorevole forse riuscirà ad approdare su una spiaggia, altrimenti il suo messaggio rimarrà per sempre muto”. Solitudine e isolamento sembrano per il Nostro autore le condizioni di vita dei poeti, soprattutto nelle società di massa, le quali, dice, non hanno occhi al di fuori di se stesse. “Dobbiamo convenire che quasi mai la poesia è contemporanea a se stessa”. Addamo cita Leopardi che era riconosciuto come filologo e non come poeta. Come pure l’opera condannata di Baudelaire. “Nella poesia non c’è nemmeno speranza di futuro - continua Addamo. Poi un affondo premonitore: “Oggi la storia è un valore perduto. Ho l’impressione che non è più in causa il valore che il libro eventualmente comunica. E’ in causa lo stesso libro come valore”. Un’esplicita accusa alla modernità della tecnologia e dell’elettronica che per se stessa ne sancisce la fine. Addamo ricorda il filosofo Vattimo, ricorda come Parmenide prevalga su Eraclito, cioè l’immobilità sul movimento. Per questo chiedersi del perché dei poeti e della poesia nel nostro tempo appare un pleonasmo. Aveva ragione Oswald Spengler : mediante la tecnica l’uomo ha dominato le forze della natura, ma adesso si tratta per l’uomo di potere dominare le forze della tecnica. “ Intuiva il pensatore tedesco che tra queste due realtà sarebbe intervenuta prima o poi una lotta a morte. E’ in pieno svolgimento l’assalto della tecnica ai fenomeno della vita. L’essenza stessa della vita viene ad essere rimessa alla produzione tecnica”. Non è un caso, dice, che Heidegger ricorda queste cose parlando di Holderlin. La povertà di cui parlava il poeta equivaleva in realtà alla pienezza della tecnica e al vuoto che essa produce.
“Può darsi - afferma con un sussulto Addamo - che possa essere questo il luogo e il momento della poesia, cioè esattamente questo vuoto”. Per lui forse bisognava partire da esso, sfiorare l’orlo dell’abisso, tentare di trattenere la luce obliqua e morente del mondo. In fondo al tunnel della notte Addamo tenta di scorgere un piccolo squarcio di luce come invito alla vitalità della poesia, ma nel regno del consumo e dell’effimero per il Nostro poeta “il punto finale non è nemmeno la morte”.
Lorenzo Marotta
Violetta Mondadori 1963 |
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Il giudizio della sera
Garzanti 1975 |
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I chierici traditi interventi sulla lett.contemporanea
Pellicano libri 1976 |
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I mandarini calvi
ed.Scheiwiller 1978 |
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Un uomo fidato
Garzanti 1978 |
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La metafora dietro a noi
ed.Spirali 1980 |
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Le abitudini e l’asssenza
Sellerio
ed. 1982 |
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Il giro della vite (poesie)
Garzanti 1983 |
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Palinsesti borghesi tre racconti
ed.Scheiwiller 1987 |
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Zolfare di Sicilia (saggio con foto)
Sellerio
ed. 1989 |
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Oltre le figure
Sellerio
ed. 1989 |
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Le linee della mano (1983-1987) - poesie
Garzanti 1990 |
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Racconti di editori
ed.Scheiwiller 1991 |
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Piccoli Dei
Il
Girasole 1994 |
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Alternative di memoria (poesie)
ed.Scheiwiller
1995 |
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Non si fa mai giorno
Sellerio
ed. 1995 |
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Il ponte levatoio
(poesie)
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ed.della rocca 1996
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