I QUARTIERI STORICI E I TOPONIMI DI LENTINI
 
MACHINA O GHIACCIU
(macchina del ghiaccio)
Via Vittorio Emanuele III
 
All’incrocio tra via Termini e via Vitt.Emanuele III, esisteva fino a qualche decennio fa “a machina o ghiacciu”, la fabbrica del ghiaccio. Il toponimo, abbastanza recente, e’ legato naturalmente alla fabbrica del ghiaccio, costruita intorno al 1920. la fabbrica rappresentava un sicuro progresso rispetto al passato. Infatti prima si utilizzava la neve che proveniva da Buccheri e che veniva conservata in pozzi scavati nella montagna cui era possibile accedere dalla parte inferiore. Con la costruzione, nel primo dopoguerra, di un aindustria di questo tipo, fu possibile un uso piu’ intenso e vario del materiale che veniva prodotto in particolari forme parallelepipedi, “le balle”. Il ghiaccio, prodotto dalla fabbrica, veniva usato in ospedale ed in particolare per gli ammalati di tifo, perche’ si riteneva che il freddo servisse in qualche modo ad attenuare la malattia. Per questo la fabbrica funzionava anche in inverno e riceveva, per ammortizzare le perdite dovute ad un uso limitato del prodotto, una sovvenzione da parte dell’amministrazione comunale. Anche i privati usavano il ghiaccio prodotto dalla fabbrica ma in estate. Non essendoci frigoriferi nelle abitazioni, era questo l’unico modo per conservare i cibi. I piu’ ricchi ricevevano a casa la balla intera, i piu’ poveri si accontentavano di mezza balla o di un quarto di balla. L’operazione di ripartizione della balla si effettuava mediante uno strumento a forma di uncino che provocava il formarsi di schegge di ghiaccio che costituivano la gioia dei bambini che si accalcavano attorno al mezzo del fornitore, in un primo tempo un carro, poi un mezzo a motore. A proposito dei bambini, diciamo che in quiel periodo ed in concomitanza con la produzione del ghiaccio, era in voga “a fumma di ghiacciu”. Si trattava di ghiaccio tritato ottenuto con una macchinetta che raschiava la superficie della balla, ottenendo dei granuli che venivano pressati dalla macchinetta stessa. Una volta aperta la macchinetta, ne usciva una forma di ghiaccio tritato che colorata con sciroppi di diverso colore, veniva succhiata dai bambini. Il ghiaccio veniva usato anche per fare la famosa “minnulata” o “minnilata”. Si trattava della ormai comunissima granita. In origine la granita era solo quella di “mennuli” (mandorle) e da qui il termine “minnulata” che divenne poi la granita per antonomasia, anche quando apparvero altri gusti. Il venditore di granita girava con un tipico carrettino a pedali e con tre ruote, per le vie della citta’ e avvisava della sua presenza con un lungo fischio che faceva accorrere i bambini e anche qualche adulto col bicchiere o la tazza in mano per ricevere la “minnulata” che veniva mangiata col pane fatto in casa e piu’ raramente il panino (Il pane casereccio “pani ri casa”, era fatto con farina integrale di grano duro e lievito naturale “u crescenti”. La farina veniva prima separata da gran parte della crusca per mezzo di un setaccio a maglia stretta, “u criu strittu”, quindi veniva impastata con acqua e sale; si aggiungeva il lievito e l’impasto veniva lavorato (scanatu e pugniatu) per ottenete l’amalgama degli ingredienti. Per alleviare la fatica e accelerare i tempi, si usava la “sbria”, un asse sulla quale mediante un perno calava una sbarra di legno. L’impasto veniva quindi ridotto in varie forme: “vastedda”, rotonda o a semiluna, “cuddura”, a ciambella. Dopo averle fatte lievitare, le forme di pane venivano cotte in forni a a legna. La qualita’ e la particolarita’ di lavorazione rendeva “u pani ri casa” di Lentini noto in tutta la Sicilia. Costituiva infatti spesso il regalo che si portava agli amici che abitavano fuori Lentini). Il gelataio, oltre a vendere la “minnulata” al mattino, vendeva gelati il pomeriggio, nelle ore piu’ calde delle giornate estive. Anche qui il ghiaccio aveva una importante funzione. Serviva, oltre che a fabbricare il gelato, anche per mantenerlo alla giusta temperatura e conservare la consistenza per tutta la giornata. Coni da 5 lire e 10 lire, a seconda della grandezza della cialda (l’ostia) e soprattutto per i piu’ fortunati, il gelato “ca curidda” (con la codina), una sbaffata di gelato alla base della cialda, da leccare velocemente prima che sciogliendosi gocciolasse addosso. La comparsa, nel secondo dopoguerra, dei primi frigoriferi in concomitanza con il boom economico, provoco’ la crisi, prima, e la chiusura dello stabilimento, poi. L’espansione verso nord della citta’ porto’ all’abbattimento dell’edificio e dell’annesso frantoio e la costruzione di un palazzo condominiale.
 
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Notizie tratte da "i luoghi della memoria" di Cirino Gula e Franco Valenti - Ediprint - SR
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