Tradizioni, artigianato, credenze popolari

Pani, cumpanaggiu e manciari pitittusu

Non ci vuole poi molto a fare il salto! Anzi, il saltare ci è spesso incoraggiato dal bjsogno di mettere ordine dentro le frette d'ogni giorno e ci è stimolo quasi per fare il punto della nostra condizione.

E' il saltare non dentro il nostro passato, rifugio insicuro e perdente, quanto piuttosto salpare per il viaggio dove ci si può stupire per la centesima volta.

Ecco: adesso salto!

Un profumo mi stordisce, e con esso, i luoghi, la luce intensa benchè sotto il pergolato: 'nta scutedda di crita c'era 'nsalata di pumaroru cca cipudda munciuta, cco citrolu, ccu l'àccia e cco pipispezzi addenti comu li riàvuli; tutto in un bagno d'olio e un bicchiere d'acqua ad allungare 'a bhagnata di un pane morbido di quattro giorni. La forchetta di canna era amica alle labbra che la sfioravano come a baciarla.

Se mi chiedessero di andare indietro con i miei avi, arriverei al nonno di mio padre, ma ad andare più in là posso dire d'essere figlio non solo di quella insalata, ma delle olive ad arrostire sulla brace, de' pipi sicchi che al sole s'inarcano in mille spasmi, do' strattu che al cielo ruba il fuoco che brucia maiddi e piatti di crita.

Tante altre emozioni mi accompagnano e ho la gioia di viverle ancora oggi intensamente: basta solo la consapevolezza di avere a tavola non i cibi d'una volta, ma gusti che mi sono accanto da sempre, cibi che mi strizzano l'occhio come a riconoscermi, che mi aspettavano per ricordarmi l'appartenenza ad una terra e ad una storia.

Ecco perchè inconsapevolmente 'na fedda di cudduruni, 'a facci di vecchia, 'a 'nsalata d'aranci ci catturano non solo per il profumo, per il gusto, per la varietà e la semplicità dei condimenti, ma principalmente perchè sono parte di noi e raccontano la fatica della nostra gente.

Accade che andando a trovare parenti sparsi per il mondo, si appronti un corposo fagotto con cura indescrivibile e con dentro tutto quello che non si è più gustato da tempo nella nuova destinazione:

ogni morso diventerà rabbia d'una perdita e bacio ai tanti significati e valori e cultura e voglia di volare che cudduruni, buttigghi di sassa, turruni, chiappareddi e cacòccili arrustuti hanno messo in cuore.

Occorrerà fare quel salto per andare oltre 'u manciari pitittusu; sì, è vero: il profumo che inonda il tavolo, il vecchio menzu tunno apparecchiato senza doppie posate, è non solo stuzzicante tavolozza di timbri forti e vivi, ma ci invita ad andare oltre, a sognare 'a mustadda, 'a lumia 'bbagnata 'nto sali, e 'na vastedda di pani ccu l'ògghiu tra le mani callose e sapienti di tanta parte di storia che ha consegnato a noi tale patrimonio.

Mi sono convinto, non ho dubbi: 'a mustadda nun sapi nè sulu di ficurinia, nè sulu di carrubba, nè sulu di spezzi; ma sapi macari di focu, di quarara, di spini, di surura, di fami a tempu di verra, di carrettu e di mulu; è come mangiare la storia.

Buon appetito a tutti allora: e più d'ogni altra cosa, buon pane ccu l'ògghiu, cco rìniu, cco sali e cco pipispezzi russu.

Diceva il poeta: Pani ccu l'ògghiu: 'u re mancia cchiù mègghiu?

Elio Cardillo

brano tratto dal progetto "Lentini Studia" promosso dalla "Fondazione Pisano"
per gentile concessione del suo Presidente Prof.Armando Rossitto

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