Tradizioni, artigianato, credenze popolari

Bummuli, cannizzi, mustichedde…

Molto spesso le tradizioni popolari di una città o di un territorio sono legate all'economia di quella città o di quel territorio, in un nodo inestricabile, per cui quando uno dei due termini, per i più svariati motivi, cessa di avere una sua validità, l'altro scompare senza lasciare traccia di sé. Ma può accadere anche, ed è quello che il più delle volte accade, che la scomparsa dell'uno non si porti dietro la sparizione dell'altro termine, che continua una sua vita sovrastrutturalmente indipendente. Una volta, prima che la coltivazione degli aranci prendesse il sopravvento su tutte le altre, le attività economiche prevalenti erano indubbiamente quella della fabbricazione di vasi e quella delle corde.

In un periodo in cui le fibre artificiali non erano ancora state inventate, la fabbricazione di corde di fibre naturali aveva notevoli risvolti economici, sia commerciali (la vendita di corde era molto più intensa di ora) che occupazionali, perché impiegava molta manovalanza locale. La città di Lentini si prestava molto bene a questa attività, in quanto ricca di acqua nelle vicinanze e nell'interno dell'abitato, con il fiume Lisso che la solcava da sud-est a nord-ovest. Oggi che la città segue altre vie, di questo passato resta solo il nome, ai più sconosciuto, Cuddaria, il quartiere che va dalla Chiesa di S. Alfio alla Scuola Media Riccardo da Lentini. Eppure, nella carta topografica più antica di Lentini, risalente al 1584, la zona della Corderia, corrispondente all'incirca all'attuale Largo Sacile (tra Via Decano e Via 5. Pellico) è messa in grande rilievo, a dimostrazione della grande importanza che aveva questa attività, che ha lasciato un altro toponimo, Burrione, che indica una vasca per la macerazione della canapa prima di essere intrecciata a formare le corde.

L'altra attività artigiana era quella dei vasi, anche in funzione della grande quantità di argilla che si estraeva dai due cretazzi (cave di argilla) esistenti in città. La creta, depurata dalle impurità, veniva impastata e lavorata manualmente al tornio e quindi, una volta asciugata al sole, infornata. Tra le forme realizzate a Lentini (di non grande pregio artistico, bisogna dirlo), la quartara, la bummula (serviva a mantenere fresca l'acqua), lo 'nzjru (basso, panciuto con orlo svasato, per l'acqua), la mustichedda (piccola, a bocca quadrilobata). La mustichedda è legata ad una tradizione religiosa fino a qualche anno fa ancora in voga a Lentini, la festa delle mustichedde, che si celebrava il 15 di agosto e ricordava l'intervento di Maria che salvò da una pestilenza la città. In quel giorno, quando ancora pochi andavano al mare, i bambini si riunivano e mangiavano il pane, dopo averlo inzuppato nell'acqua della mustichedda, inghirlandata con rametti di basilico, che servivano con il loro odore a lenire il sacrificio del cibo non troppo appetibile.

Un'altra tradizione artigianale è quella del pane di Lentini, ancora oggi molto richiesto dai forestieri che si trovano a passare per la città. Si indica con questo nome un pane particolare, di grano duro, di buona consistenza, cosparso di cicilena (sesamo), cotto in forni a legna, lontanissimo parente del molliccio intruglio che ci viene quotidianamente propinato. Tra le forme tradizionali, preparate in occasione di festività religiose, il posto d'onore va alla cuddura, alla pruvirenzia ed al cannizzu. La prima si preparava (e si prepara) durante la festa di San Giuseppe, il 19 marzo, quando torme di bambini precedevano la Sacra Famiglia con in testa la cuddura (dal greco "collura" ciambella), decorata con fiori di balicu (violaciocca), a chiedere al santo il rifiorire della natura dopo il riposo invernale. Altra forma di pane, la pruurenzia (provvidenza), che si preparava (si prepara ancora?) durante la festa di Natale e rappresentava un bambino in fasce. Il taglio della forma di pane, la sera della cena, toccava al capofamiglia ed era questo il gesto che indicava il suo ruolo di capo indiscusso nella famiglia patriarcale. Il cannizzu era una forma rotonda che recava al centro un cilindro di pane, che doveva ricordare il contenitore cilindrico di canne intrecciate(da qui il nome) nel quale si conservava il frumento raccolto Ad accentuare la somiglianza, il cilindro veniva riempito di piccole palline di pane che dovevano ricordare il frumento. Un rito propiziatorio, con il quale si chiedeva alla divinità un intervento per l'annata agraria.

Cirino Gula

brano tratto dal progetto "Lentini Studia" promosso dalla "Fondazione Pisano"
per gentile concessione del suo Presidente Prof.Armando Rossitto

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