Individuo-
Societa'-Relazioni-Modelli CulturaliI braccianti e la Camera del Lavoro
La Camera del Lavoro nasce nel lontano settembre del 1943, dopo l'entrata delle truppe inglesi, con la presa degli attuali locali di Via Conte Alaimo, sede del dopolavoro fascista, per volontà di un gruppo di lavoratori d'ispirazione di sinistra. Una sinistra presente, anche durante gli anni bui del fascismo, una presenza che andrebbe rivisitata per meglio capire il dopo, che si ritrova con le sue diverse anime nella costruzione della casa comune dei lavoratori. Una casa ancora in piedi, che negli anni ha superato tutte le laceranti divisioni del mondo sindacale e della stessa sinistra.
La Camera del Lavoro nella sua lunga storia non è stata solo il luogo d'incontro, di decisioni e di mobilitazione, ma è stato anche il luogo della difesa dei tanti diritti negati e dei mille bisogni della gente.
Il sogno del dopo guerra era quello di lottare per un pezzo di terra e un lavoro con un giusto salario, per uscire dall'indigenza e per migliorare le condizioni della propria famiglia. Un periodo di sofferenze indicibili, di tumulti di piazza e d'iniziative estreme, che sfociarono alla fine dell'estate del '46 in veri e propri assalti dei magazzini di molti ricchi proprietari. Assalti che si conclusero con più di 160 arresti e con condanne pesanti, non scontate, per il sopraggiungere dell'amnistia. Questa data segna l'inizio dei primi arresti di massa, che un anno dopo si ripeteranno per l'occupazione delle terre del barone Beneventano della Vaddara.
Un movimento che si ritrova in tutto il Mezzogiorno con la parola d'ordine "la terra a chi la lavora", consapevole, per nulla intimorito, in un clima politico mutato per la fine del governo di unità nazionale, che vedeva la partecipazione dei socialisti e dei comunisti.
Con il passare degli anni, alle lotte per il lavoro e il salario, seguirono altri movimenti per il diritto alla salute, alla pensione, per arrivare alla conquista del 1969 della riforma della scuola media e dell'apertura degli accessi all'Università. Una svolta per una scuola democratica, eguale per tutti, volta alla promozione personale di ciascuno.
E' stato un periodo di profondi cambiamenti nel modo di pensare, d'agire e di comunicare con altri, in particolare con movimenti e organizzazioni di diversa estrazione.
Una sera di febbraio del '69, le porte della Camera del Lavoro si aprirono per un confronto tra il comitato dei braccianti e i giovani universitari della Fuci. Fu un dialogo appassionante, teso, pieno di curiosità e di tanti perché. Due mondi a confronto, legati alla stessa realtà, con ruoli sociali diversi, interessati a conoscersi.
Una conoscenza durata nel tempo per proseguire con alcuni verso un cammino comune. I fatti di Avola del dicembre '68, che vedono tre braccianti uccisi dalla polizia, precedono altri avvenimenti e caratterizzano il movimento siciliano per la gestione del collocamento e un maggiore potere nelle aziende.
Sull'onda del movimento, a Lentini si attuava la prima forma di gestione democratica del collocamento e, nel contempo, si otteneva dal Ministro del Lavoro on. Brodolini, socialista, la tanto attesa disposizione sulla richiesta numerica nelle assunzioni contro le discriminazioni padronali e i favoritismi familistici.
Successivamente con la manifestazione-occupazione dell'azienda Cassis di Rizzolo, dell'11 luglio '69, si aprì un nuovo terreno di lotta tutto incentrato sugli organici aziendali, il diritto d'assemblea e il riconoscimento dei delegati. L'iniziativa di lotta portava all'assunzione di oltre 100 braccianti prevalentemente di Buccheri e l'elezione del primo delegato aziendale, nella persona del bracciante agricolo Giuseppe Caleffi di Buccheri, eletto democraticamente dai lavoratori in assemblea. Questo primo risultato innescò un processo a catena, investendo anche le aziende commerciali sul versante salariale poiché permanevano delle odiose discriminazioni tra uomini e donne, che svolgevano le stesse mansioni.
La categoria degli agrumai interni era una reale forza, rappresentata dalla Lega autonoma degli agrumai, quasi sempre in contrasto col sindacato per motivi organizzativi e contrattuali.
Nei momenti cruciali, l'azione di collante veniva svolta dalle operaie, che mettendo da parte le divisioni si collegavano con l'esterno e il sindacato.
Un mondo, quello delle operaie dei magazzini, composto da mamme e figlie, "presi dal lavoro", talvolta indifese, ma con una coscienza di gran lunga più alta degli stessi compagni di lavoro. Un mondo che andrebbe riscoperto e valorizzato in quanto parte della storia del movimento democratico e sindacale lentinese, Le donne, aiutate da Graziella Vistrè, hanno dato molto, ma sono state le prime ad essere esplulse dal lavoro per l'introduzione delle macchine nei processi di lavorazione delle arance e per la chiusura di quelle aziende che non riuscivano a stare sul mercato. Con la conquista delle terre negli anni '50 molti braccianti si avviarono verso un nuovo status sociale, fenomeno non molto esteso ma significativo, proseguito negli anni con la legge sulla formazione della piccola proprietà coltivatrice.
Decine e decine di braccianti, da semplici salariati a giornata, si trasformarono in piccoli proprietari, che con sacrificio e sudore contribuirono a cambiare il paesaggio agricolo in una foresta d'alberi d'arancio. Alcuni rimanevano coltivatori diretti mentre altri assumevano lo status di coltivatori-salariati, cioè lavoravano in proprio e per terzi. L'emergere di queste nuove figure miste, che ritroviamo non solo nel campo agricolo ma anche in altri settori, crearono non poche difficoltà al sindacato nella gestione del mercato del lavoro e dei contratti, in particolare nei mesi estivi, a causa della contrazione dell'occupazione del diffondersi della pratica dello scambio tra salario e giornate non dichiarate. Un fenomeno dilagante di lavoro irregolare e mal pagato, coperto ai fini previdenziali dal blocco degli elenchi anagrafici che trovò la sua maggiore espansione negli anni settanta con l'abusivismo edilizio sia nella costa che in città. Una città che, prima di divenire a vocazione agricola, conteneva in nuce tutte le caratteristiche e le potenzialità di città di servizi d'area. Elemento non compreso appieno, che ancora viene sottovalutato sia sul versante dell'apporto economico che dell'ammodernamento delle strutture.
Dopo l'occupazione delle terre il punto più alto dal movimento bracciantile fu toccato con le lotte per il salario. Brano giornate di tensioni, in un crescendo di partecipazione, giorno dopo giorno, ad oltranza. Giornate di sciopero che pesavano a tutti, sia ai protagonisti dello scontro che alla città, per la paralisi che si veniva a creare.
Questo modo di condurre le lotte col tempo creò non poche difficoltà alla costruzione d'altre iniziative definite in ore ben limitate.
Una concezione che veniva da lontano, presente anche nella sinistra, che in alcune occasioni sfociava in proteste fine a se stesse e in mugugni di piazza tanto distruttivi quanto ingenerosi.
Una concezione non del tutto superata, che in alcuni momenti rispunta con motivazioni le più disparate, tendenti molte volte alla difesa del proprio particolare a scapito degli interessi dei meno protetti della stessa categoria.
Il declino di questa categoria come classe sociale, accomunata da medesimi interessi e modi di pensare, inizia verso la metà degli anni '70 e segue di pari passo le continue crisi del comparto e l'affermarsi della politica agricola comunitaria, piano Mansholt, che puntava alla razionalizzazione e alla formazione di una rete di medie e grandi aziende a conduzione prevalentemente capitalistica.
Questa politica nel suo agire metteva in luce l'arretratezza del compatto e l'inadeguatezza della risposta sul versante dei contenuti da parte del mondo agricolo e commerciale, compreso il sindacato.
Problematiche che sono ritornate in quest'ultimi tempi, le quali stanno avendo delle significative risposte sul versante legislativo, ma che andranno verificate nel tempo in base all'iniziativa dei soggetti interessati. I quali, anche se con notevole ritardo, dovranno necessariamente incamminarsi verso un nuovo modo di produrre, di commercializzare e di associarsi con altri per non essere espulsi dal mercato, in quanto sarebbe un danno per sé, per l'economia e l'occupazione. Dalle cinquemila unità lavorative tra braccianti, agrumai e segantini, senza contare gli esterni in nero, degli anni '70 si è passati alle circa duemila unità attuali, con un calo anche delle giornate per il restringimento del ciclo produttivo e di lavorazione.
Prima a Lentini si veniva a lavorare da fuori, oggi sono i lavoratori lentinesi ad abbandonare la loro città. E' la storia di tutte le economie monocolturali sia agricole che industriali.
Una storia con cui bisogna fare i conti ancora oggi per innovare l'esistente, per diversificare la produzione e per muoversi in altre direzioni d'attività sino ad oggi inesplorati.
Per incamminarsi lungo questo cammino necessita un quadro programmatico certo dentro il quale l'azione di sostegno pubblico s'incontra con la voglia di una nuova generazione d'imprenditori. Tra le cause della decadenza dell'agrumeto vi è anche questo, cioè la successione nella gestione dell'azienda.
Un problema che si sarebbe presentato, in quanto era nell'aspirazione degli stessi padri a veder i propri figli impegnati in altre attività meno dure e faticose.
Il sogno della generazione del miracolo lentinese, dopo la terra, era mandare i figli agli studi. Un sogno, realizzato da molti, anche da tantissimi altri padri, braccianti a giornata. La ricostruzione fin qui condotta, anche se parziale, non poteva concludersi con la riflessione sul rapporto tra partito e sindacato, con aspetti che toccano il governo della città nei periodi dell'amministrazione di sinistra.
Queste diverse entità, alla generalità dei lavoratori e delle lavoratrici e da grande parte dell'opinione pubblica, venivano viste e identificare come un'unica entità: il partito.
Il partito la mente, la Camera del Lavoro il braccio operativo, l'amministrazione il punto di mediazione dei bisogni e delle vertenze delicate, in particolare quando le cose non si mettevano per il giusto verso.
Il legame tra partito e sindacato incominciò ad allentarsi per l'avvicinamento delle tre confederazione sindacali negli anni 68~69 sul terreno unitario. L'unità ritrovata del mondo del lavoro apriva una stagione di lotte e conquiste sino allora insperate.
Anche a Lentini s'infittì il dialogo che sfociò nella festa unitaria del primo maggio '69. Fu un momento alto, accompagnato da qualche mugugno per l'avvicinamento. Inizia così un periodo di lento e graduale distacco e di comunicazione non sempre facile col partito.
L'entità unica si andava scomponendo per assumere ognuno la propria autonomia. Nel frattempo il partito comunista, con Luigi Longo, sotto l'incalzare degli avvenimenti si apriva agli studenti e ridefiniva il ruolo del partito come "parte" della società.
L'apertura ai movimenti e il superamento della concezione totalizzante del partito, avviava una nuova e diversa dialettica tra partito e sindacato, tra partito e movimenti.
Un cambiamento dirompente imposto dalla crescita della società italiana in senso democratico e partecipativo. Qualcosa cambiava anche a Lentini, lentamente, per le difficoltà che s'incontravano nella costruzione di un autonomo gruppo dirigente e nelle adesioni per un errato modo di concepire e di vivere il sindacato.
Gli anni a seguire a quel periodo sono sotto gli occhi di tutti per il mutato scenario economico e politico. Un mutamento sconvolgente che ha creato e che continua a creare non poche difficoltà per la portata dei processi di globalizzazione e le conseguenze sulle persone.
Ci troviamo di fronte ad un sindacato, che ancora non riesce a trovare un suo punto di equilibrio tra le varie rivendicazioni delle categorie e del territorio e la concentrazione, tra il bisogno di una reale unità nell'autonomia e l'emergere di spinte verso un nuovo e preoccupante collateralismo rappresentativo.
Problemi che sono presenti ovunque, ma che nella nostra realtà si manifestano con maggiore acutezza per il dilagare della disoccupazione e per l'apparire di tendenze centralistiche, soffocanti quanto inconcludenti.
Luigi Boggio
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