- IL RITORNO DI CARLO LO PRESTI
- di Gianni Cannone
- edito da “LA NOTIZIA“ 1998
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- Il giornalista-scrittore, Gianni Cannone,
chiamato dall'amministrazione comunale di Lentini, con il presente lavoro,
rende omaggio alla figura e all'arte di Carlo Lo Presti, nella serata del
31 gennaio 1997.
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- Cosa
vuol dire per la cultura siciliana il nome di Carlo Lo Presti? E’ sufficiente ricordare che egli è l'autore di Sicilia
Teatro, un libro molto importante della storia del teatro siciliano? È
sufficiente ricordare che egli ha fondato e diretto la biblioteca civica
“Riccardo da Lentini”? È sufficiente ricordare che egli è stato il
creatore e l'animatore inimitabile del “Premio Nazionale Lentini”,
considerato in quel tempo, una delle più alte manifestazioni letterarie
d'Italia? È sufficiente ricordare che egli e’ l'autore di tante
riuscitissime e apprezzate opere teatrali, quali, ad esempio: “Attesa
sulla riva del fiume”, “Il caos”, “Quello della prima fila”,
“Il presente è un punto”, “Alluvione”, “Plenilunio”, “Cose
turche!”, “Referendum”, il camaleonte”, “Il ritorno di
Gorgia”?. E’ sufficiente ricordare che egli fu il programmatore e il
Presidente dell'associazione siciliana del teatro? È sufficiente
ricordare che egli, giornalista vero e commediografo geniale, era critico
teatrale, bravo e stimato, de “il dramma”, la più qualificata rivista
italiana in materia di teatro? Penso che tutti questi interrogativi siano
ancora senza risposta, anche se sulla figura e sull'arte di Carlo Lo
Presti, si avverte adesso, per via di una sensibilità istituzionale,
forse più attenta, l'inizio dialettico di un rinnovato indirizzo mentale
e culturale. Carlo Lo Presti, intanto, vive tra di noi comunque. Con la
presenza spirituale certamente; ma più ancora con il suo sapere e con le
sue opere che parlano, esistono, sopravvivono. “Sono tornato nella mia
città...” inizia così
l'opera teatrale, “il ritorno di Gorgia”, di Carlo Lo Presti, nato a
Lentini il 6 gennaio 1921 è venuto meno, sempre Lentini a il 2 aprile
1969. Nel testo loprestiano queste primissime battute sono affidate a
Gorgia Leontino che, ad un certo punto della sua incomparabile vita,
carico di gloria ma anche di nostalgia per la terra natia, organizza, con
la massima discrezione, il suo rientro in patria. Oggi, per uno strano
gioco del destino, queste stesse parole, cioè " sono tornato nella
mia città ", dal sapore quasi autobiografico, mi sembrano essere,
invece, le più congeniali per salutare, con luminosa significazione, il
ritorno di Carlo Lo Presti, qui, in questo teatro, che per volontà della
città di Lentini, porta ormai il suo nome e cognome. Nell’opera "
il ritorno di Gorgia " appare subito evidente l'ammirazione
incondizionata di Carlo Lo Presti per il grande pensatore lentinese, suo
concittadino. Basti vedere, in tal senso, l'epigrafe posta a fronte del
lavoro loprestiano che così recita:" Questa azione scenica è stata
scritta per rendere omaggio al più eloquente e al più tragico dei
sofisti che la storia ricorda: Gorgia da Lentini ". Il luogo dove
avvengono i fatti non è immaginario; esso esiste: Atene per la Grecia,
Lentini per la Sicilia. Neanche il ritorno di Gorgia, dal quale il Lo
Presti trae lo spunto per ricavare il titolo della sua commedia, e’
frutto di immaginazione. Nella narrazione loprestiano l'accadimento
storico legato al ritorno di Gorgia a Lentini, al termine della famosa
missione diplomatica del 427 a.C. in Atene, è autentico e sempre
rigorosamente vissuto. Quando Gorgia, infatti, in base al trattato del
433, arriva nella città di Atene per chiedere l'aiuto dei fratelli della
madrepatria contro le pretese di Siracusa, è Diodoro Siculo che, tramite
la sua " Biblioteca Storica ", rilascia la seguente
attestazione: Gorgia infine riuscì a convincere gli ateniesi a stringere
alleanza con i leontini e,
dopo aver suscitato con la sua arte retorica l'ammirazione della città,
fece ritorno in patria ". Il
periodo del ritorno di Gorgia in patria, che impone al Lo Presti la linea
della trasposizione simbolica, indispensabile nel copione al suo filo
conduttore, si discosta, però, necessariamente dalle indicazioni
temporali diodoree. La fase del ritorno di Gorgiap, quella loprestiana,
così concepita, non disturba mai, di conseguenza, la verità storica,
fedelmente testimoniata dsl grande storico siciliano di Agira. Geloso
custode della storia patria, Carlo Lo Presti si serve chiaramente di
Gorgia per scrivere per descrivere un atto d'amore interminabile verso la
sua città. Con " il ritorno di Gorgia " il Lo Presti è fino in
fondo, in qualità di storico, di saggista, di narratore e di uomo di
teatro, partecipe del destino della sua patria che vorrebbe, in ogni
tempo, sempre più libera, sempre più democratica, sempre più bella.
Lentini era, in quell'epoca, una " città-stato " fra le più
importanti, più ricche e più operose della Sicilia; aveva nel suo seno i
campi lestrigoni o leontini, assai celebri in tutto il mondo antico,
quello della grecita’, per la straordinaria fertilità; aveva rapporti
interni e internazionali con le altre " città-stato "
dell'isola, della Grecia e della Magna Grecia; accreditava, di volta in
volta, gli ambasciatori per la cura e la tutela degli affari politici,
militari, diplomatici, commerciali, economici e territoriali; fermava
trattati; batteva moneta. L'opera in due atti di Lo Presti si anima, come
vicenda storica, in siffatto contesto, dentro cui la scelta tematica e la
cucitura dei brani ispiratori, che si ricollegano direttamente a Gorgia e
altri autori classici, costituiscono il tessuto portante di tutta la
" questione loprestiana ", che la cui morale varca, a conti
fatti, i confini del tempo e dello spazio. Di Gorgia Lo Presti ha con sé
per sviluppare felicemente il suo disegno etico-storico-narrativo, non
solo " La difesa di Palamede " e " l'elogio di Elena
", ma anche l'altra importantissimo opera " sul non ente o
intorno alla natura ", pervenuta fino a noi attraverso le due
versioni di Sesto Empirico e dell'Anonimo. Una cosa va sottolineata, a
questo punto, chiara ed evidente, ed è questa: la conoscenza che Carlo Lo
Presti ha di Gorgia e dei testi classici antichi e’, senza dubbio
alcuno, sorprendente e ragguardevole. Erodoto, Tucidide, Aristofane,
Euripide, Platone, Filostrato, Diodoro Siculo e naturalmente Gorgia sono
gli autori, tanto per capirci, che il Lo Presti utilizza con sapiente
regia e con oculato dosaggio, per portare a buon fine, in ogni angolo
dell’opera, l'equilibrio indispensabile la l’azione e
la narrazione. L'ammissione di Gorgia trattiene, nata con lo scopo
precipuo di chiedere aiuto contro i Siracusani dorici, la cui ambizione
era quella della conquista del territorio leontino, finisce poi per
influenzare per sconvolgere, a livello epocale, con l'avvento dirompente
della cultura sofistica e sullo sfondo della guerra del Peloponneso, tutte
le certezze del preesistente e vivere greco. La scena del primo atto si
apre con la presenza furtiva a Lentini del Gorgia loprestiano che, di
ritorno dalla Grecia, ormai famoso, ricco e osannato, vuole vedere, senza
farsi vedere, come vanno adesso le cose nella sua città. Questo Gorgia,
che si pone essenzialmente come coscienza critica, si tuffa senza esitare
nel mare dei ricordi e, con la mente che indietro vola veloce, ritrova
l’anno 427, valutato, a ragione, dal sofista lentinese come il
riferimento più importante della sua vita. Nella memoria di Gorgia,
infatti, ecco spuntare, alla stessa stregua di un sogno, l'immagine del
popolo lentinese, del “demos”, che numeroso scende nell’Agora’ per
udire la voce della repubblica. Con il futuro della patria seriamente
minacciato, alla ribalta del fare creativo di Lo Presti sale ora lo
stratega di Lentini che, con accenti accurati e fermi, rivolge al popolo
leontino il seguente discorso:"Rriporto a voi, cittadini, il
lugubre grido della guerra. Noi abbiamo atteso la pace, ma la vicina città
di Siracusa, con i suoi alleati il Gela e Messana, aspira a giungere per
terra per mare verso la conquista delle nostre terre. In questo momento di
pericolo anche noi abbiamo bisogno di aiuti, di alleati. Tra gli amici
Calcidesi soltanto la grande Atene, la nostra madrepatria, potrà aiutarci
con armi e navi per i nostri mari. Io chiedo a voi gli ambasciatori che
sappiano esporre con la forza delle parole e della convinzione i bisogni
nostri per evitare l’assedio e la
distruzione ". L'allusione a Gorgia, quale capo degli ambasciatori
leontini, è inevitabile, oltre che consequenziale. Il Gorgia loprestiano
attende pertanto nella sua abitazione del Tirone, il segnale della scelta.
Carlo Lo Presti, con un linguaggio semplice e gioioso, asciutto e ironico,
arguto e immediato, così prepara gli istanti che precedono la partenza
della delegazione lentinese in Grecia:" Vennero nella mia casetta
sul colle del Tirone cantando gli inni più belle della nostra terra.
Erano in mille, forse centomila, che le fiaccole nella notte sembravano
miriadi di stelle. E c'erano i buoni e cattivi, i ricchi e i poveri che mi
stavano vicino. I buoni e i cattivi tutto d'accordo questa volta sulla
scelta dell'ambasciatore ... Era troppo facile cosa convincere una folla
che conoscevo assai bene. Ero nato insieme a quella gente. E ora tutti
accanto a me pronto ad applaudirmi, ma altrettanto pronta a riderci sopra
per avermi intrappolato in una missione che tutti ritenevano impossibile ";
Il Gorgia loprestiano, per amore della sua " polis "
mette in cantiere, in questa circostanza, un atteggiamento
etico-paradigmatico che, ancora oggi, può stimarsi non di poco conto: "
io non chiedo compensi alla mia città per questa importante e decisiva
missione in difesa della patria ".
C'è da rilevare che allora le ambascerie in Atene puppulavano,
tanto è vero che, già nel 425, e venivano anche messi in berlina, con " gli Acarnesi ", da un certo Aristofane, che, detto
fra noi, delle innovazioni dei sofisti e della sofistica in generale non
voleva proprio sapere. L’ambasceria di Gorgia leontino resta, però, di
sicuro, fra quelle che fecero veramente epoca, soprattutto se si tiene
conto della autorevolezza delle testimonianze che da Tucidide vanno fino a
Diodoro Siculo, e anche oltre. In Grecia, nel frattempo, era stata
convocata, appositamente, un'assemblea popolare, con l'ordine del giorno
la questione leontina. La relazione loprestiana dello stratega di Atene
e’, per l'occasione, puntigliosa e vigorosa:" una nostra città di
Sicilia è minacciata dai guerriglieri dorici.
Sono i siracusani che vogliono usurpare le terre del popolo di
Lentini. Quando la guerra sarà scoppiata sarà difficile dire che è
stato il primo ad attaccare. Si sa benissimo che a un attacco nemico
corrisponde una provocazione. Io ricordo a voi che il popolo di Lentini ha
saputo strappare alla terra l’oro del frumento, per cui la sua pianura
è stata chiamata il granaio del mondo. E’ un popolo che vuole la pace; che
chiede di lavorare i campi in silenzio ". La nave che porta gli
ambasciatori di Lentini in Grecia giunge finalmente al Pireo, che e’ il
porto di Atene. Gli ateniesi, alla vista della rappresentanza di Lentini,
formata di belle fanciulle e di giovani allievi della scuola di Gorgia che
sfilano significativamente in corteo, rimangono piacevolmente
impressionati. Lo stratega di Atene e riceve la delegazione leontina con
il doveroso riguardo, non vuole sapere, tuttavia, con notizie
particolareggiate, le regioni che hanno spinto gli ambasciatori di Lentini
a compiere un tanto pericoloso viaggio, " sfidando il mare col
trireme salpato- come bene precisa Lo Presti- dal porto di Murganzio
". In quel tempo, che questo va detto per il rispetto che sempre bisogna avere nei confronti della
storia, l'agricola Leontinoi era, contemporaneamente, città marittima,
città fluviale, città commerciale. I porti storicamente in attività
erano due: quello marittimo di Murganzio, di cui sopra fa cenno anche Lo
Presti, e quello fluviale, dentro cui si perveniva tramite il Terias, oggi
fiume Lentini, ma volgarmente detto San Leonardo, il quale lasciava,
successivamente, alle acque ancora navigabili del Lisso, il compito,
davvero fantastico, di arrivare fino alle abitazioni della città. Ad
Atene, frattanto, Gorgia si appresta a parlare per far conoscere ai greci
la sua verità, nonché la potenza del " logos ", ossia della
parola intesa come strumento " che seduce, persuade e trasforma
l'anima ". " la verità - tuona Gorgia nel capolavoro di Lo
Presti - non può essere che una soltanto una. Chiedete ogni cosa io vi
risponderò per il giusto. Sono venuto a voi per una missione e
accettero’ le vostre domande, indicandovi dichiaratamente la strada
della verità. Ma vi avverto che, quando credete di averla trovata
davvero, finire col dubitare che sia quella giusta. Perché non potete
toccarla per mano. E se non potete portarla per mano, come potete
conoscerla? Per cui, se vogliamo affermare che esiste questa verità, come
possiamo spiegarlo ad altri? " queste cose, insomma, inquadrate
nell'ottica del progetto evocativo-dimostrativo di Lo Presti, risultano
essere, " sul non ente ", le tre tesi del totale scetticismo
della filosofia gorgiana:" l'essere non esiste; se esistesse sarebbe
inconoscibile; se fosse conoscibile la conoscenza di esso non potrebbe
essere comunicata da una mente all’altra " - Ritorniamo, però, ai
fatti. Il successo della missione di Gorgia, come noto, fu totale, mentre
l'esito della prima spedizione ateniese in Sicilia, a favore di Lentini,
fu non rispondente alle attese, in quanto le ostilità si conclusero, nel
424, con la pace di Gela, senza vincitori né vinti. Il Gorgia loprestiano,
intanto, dopo aver passato in rassegna quando era caramente custodito
nello scrigno dei ricordi, ha un brusco risveglio nel momento in cui
apprende dallo stratega di Lentini, vecchio e deluso, che la sua città,
ormai in mano ai tiranni, non è più quella di una volta: " guarda
intorno alla tua grande città d’ un tempo!... Non vedi che
abbandonati sono i monumenti e i giardini? Non vedi che squallore regna
attorno a queste case? E dove sono più gli uomini migliori? Tutti, tutti
scappati via perché l'aria sia fatta putrida e pesante!... E io sono
troppo vecchio per andare a morire altrove!... E resterò su questa terra
pensando con tristezza quando la mia città era libera, grande e
bella!..." è questo, in un certo senso, il preludio finale
dell'opera di Lo Presti, che drammatico e, al tempo stesso, educativo.
Drammatico perché il grande sofista di Lentini, amareggiato e sgomento,
lascia per sempre la sua città; educativo perche’ alla fine, c'è come
morale, l'invito pressante ai governanti di ogni epoca a non commettere
errori, a essere saggi, a operare in perfetta simbiosi con il popolo che
deve, a sua volta, guardarsi, in ogni caso, dai tiranni e dai falsi
“superuomini”. Dunque Carlo Lo Presti, del suo Gorgia, gestisce un
commiato, forte, intenso e palpitante, di adeguata bellezza emotiva e
linguistica: " dunque, inutile è stato il mio ritorno in patria?...
Inutile resta l'ambasciatore di pace quando nessuno più vuole
ascoltarlo?... Torno laggiù, nella Tessaglia amica che mi ha fatto grande e
ricco!... Addio città perduta che non hai voluto dare ascolto ai consigli
dei saggi!... Anche se non avrai le mie ossa che non sono più diritte
come quelle di un tempo quando parlavo della verità per queste strade, ti
auguro che un giorno tu possa ritrovare la via della ragione, per
ridiventare ricca di scienza e di bellezza!... Ma soprattutto, che tu
posso ritrovare, come tempo, più saggi e probi cittadini, lontani da
lotte interne e dai travagli dell'ambizione, dagli odi e dai rancori di
falsi super uomini che appaiono come asini coperti da pelle di Leone –
quel leone ucciso da Ercole in queste contrade - pronti a scoprirsi al
primo raglio... Che essi un giorno, sappiano farti più bella e più
grande, per una pacifica convivenza fra tutti i popoli della terra!
Appunto.. Addio!..." il perché Gorgia vada via definitivamente da
Lentini, rimane questo un caso grave e doloroso che Lo Presti, con la sua
bellissima opera, molto opportunamente riapre. Certo è che dopo la pace
di Gela, nella città di Lentini ne succedono di tutti i colori. Si
concerta e si attua, cinicamente e scientificamente, un piano,
assolutamente deprecabile, legato alla distruzione della città. E
sappiamo, in maniera nuda e cruda, da Tucidide, il padre della
storiografia critica che, fra l'altro, della gorgiana sofistica era anche
figlio, tutto quanto non avremmo mai voluto conoscere: " quando gli
ateniesi se ne erano andati dell'isola, gli abitanti di Lentini avevano
concesso a molti il diritto di cittadinanza e il popolo aveva in animo di
procedere anche ad una nuova divisione di terra. Ma gli aristocratici
accortisi di questa intenzione, chiesero aiuti a Siracusa e scacciarono i
democratici che se ne andarono errando, ciascuno per conto suo. I ricchi,
invece, si accordarono con i siracusani e, abbandonata e distrutta la
propria città, si recarono a ad abitare Siracusa da cui ottenero il
diritto di cittadinanza ". Su questo amaro scenario tucidideo della
Leontinoi del V secolo a.C., Robert Burn, nella sua storia sulla Grecia antica, porta a galla senza più fare finta di niente,
l'assurda quanto vergognosa verità:" Gorgia trascorse le resto della
sua lunga esistenza per lo più nella Grecia continentale, soprattutto
dopo la sua città natale, ottenuto l'aiuto ateniese, era stata consegnata
a tradimento ai siracusani della sua stessa classe agiata, costretta ad
affrontare la rivolta sociale, e aveva cessato di esistere ". Quindi
Lo Presti, a ragion veduta, pone in essere per i posteri,
emblematicamente, il " caso Gorgia " quale modello itinerante di
riflessione continua, affinché - come Erodoto insegna - " gli eventi
con il tempo non si dissolvano nella dimenticanza ". La città di
Lentini, lentamente e faticosamente, tornerà a vivere ma sul fatto,
inaudito e inconcepibile, peserà continuamente l'implacabile verdetto di
condanna della storia. La ricostruzione di Carlo Lo Presti, quindi, per
quanto riguarda il senso interiore del monologo finale di Gorgia, è
indiscutibilmente dal mio punto di vista, esemplare al massimo. Tuttavia
non e’ da escludere che nello scritto dell’addio di Gorgia alla società
vi sia implicito anche un affondo polemico di Carlo Lo Presti verso il
governo locale di quegli anni che furono pure i suoi. Ma questa è
un'altra vicenda. L'opera " il ritorno di Gorgia " di Lo Presti,
pubblicata presso la rivista " il dramma " nel 1968, venne
rappresentata il 9 dicembre 1967, nell'ambito della quinta edizione del
premio nazionale Lentini. In quella indimenticabile serata, gli interpreti
principali della commedia di Carlo Lo Presti furono due grossi nomi del
teatro italiano Lidia Alfonsi e Arnaldo Ninchi. La regia portava la firma
prestigiosa di Ruggiero Jacobbi. Su " il ritorno di Gorgia " di
Carlo Lo Presti, giova riprendere, in questa sede, come ultima cosa, i
giudizi autorevoli di tre lustri critici di teatro: Ruggiero Jacobbi,
Enrico Bassano, Francesco Della Corte. Partiamo da quello di Ruggiero
Jacobbi – anno 1967 -: " su questa materia tragica Lo Presti ha
effettuato un lavoro che potremmo definire saggistico-drammatico; con
discrezione, con distacco,
con chiarezza. Ma attenzione alla allusivita’ di questa nascosta
chiarezza. Nella città di Lentini nel secolo di Pirandello, 2500 anni
dopo il suo personaggio storico, uno scrittore ossessionato dall'idea
della verità morale ci mette ancora una volta dinanzi allo specchio
multiforme della dialettica ". Sempre in rapida successione, la
critica di Enrico Bassano - anno 1968 -: " Carlo Lo Presti, ha
scritto per il teatro siciliano e quello in lingua, vari lavori, tutti
felicemente rappresentate; e
ha offerto con " il ritorno dei Gorgia " una bella e sicura
prova non solo della sua cultura, del suo gusto saggistico, ma anche delle
sue belle qualità a teatrare ". Il terzo giudizio critico appartiene
a Francesco Della Corte - anno 1968 -: " questo grosso personaggio
meritava di essere scoperto dal teatro e portato sulla scena. A tale
operazione si e’ accinto un uomo di cultura e per di piu’ uomo di
teatro, avvezzo alla scena, che di Gorgia e’ anche compatriota: Carlo
Lo Presti ". Per finire: questa fatica storico-letteraria ha come
titolo " il ritorno di Carlo Lo Presti " e, secondo me, non
poteva essere diversamente.