- I QUARTIERI STORICI E I
TOPONIMI DI LENTINI
-
- QUATTARARI
- (Vasai)
- Piazza San Giovanni da Procida
-
- Il
toponimo deriva dalla presenza, nel luogo, di una attiva insutria di
lavorazione dell’argilla. Questa, di qualita’ non eccelsa, veniva
estratta dai due “cretazzi” (cave di estrazione della creta) esistenti
all’epoca: il primo e piu’ importante, ai piedi del poggio “Anime
del Purgatorio”, lungo la strada per Francofonte e l’altro in Contrada
Palmeri (il primo luogo e’ ancora oggi denominato “cretazzo”). Dopo
il sisma del 1693, il Vicario del Re, Giuseppe Lanza, duca di Calastra,
incarico’ fra Angelo Italia, architetto, di progettare la riedificazione
della citta’ di Lentini. Il Gesuita, incaricato anche della
ricostruzione di Avola e Noto, ritenendo dispendioso sgombrare dalle
macerie i siti delle distrutte citta’, diede indicazioni affinche’ si
ricostruissero i suddetti centri in altri luoghi. Se tali indicazioni
furono accolte ad Avola e a Noto che, attualmente distano qualche
chilometro dai siti delle vecchie citta’ distrutte dal sisma,cosi’ non
fu per Lentini. Infatti l’area prescelta da Fra Angelo, e per
l’esattezza la zona denominata “Cretazzo”, mal si adattava alle
esigenze dei cittadini che pero’ si dovettero piegare al volere
dell’architetto incaricato. Ma dopo pochi anni, i lentinesi si
ribellarono e chiesero al Re di rivedere i progetti di Fra Angelo. Il Re,
dopo questa protesta diede ragione ai lentinesi che furono finalmente
liberi di ricostruire nel vecchio sito la loro citta’. Il luogo scelto
da Fra Angelo era appunto “il cretazzo” che per la sua tipica natura
tanto aveva fatto tribolare la popolazione, anche perche’ non appena
alzavano i muri delle case, questi crollavano. L’area, piu’
recentemente e’ stata scelta dai nostri amministratori e tecnici, per la
costruzione di edifici popolari o in cooperativa, l’attuale zona
destinata dal piano regolatore (PRG) all’edilizia popolare (167). In
questa zona il terremoto del 13/12/1990 ha fatto a Lentini i danni
maggiori (la storia dovrebbe insegnare). Ritornando al toponimo “quattarari”,
l’argilla, dopo essere stata depurata dalle scorie ed impurita’,
veniva lavorata con maestria al tornio per realizzare contenitori di varia
grandezza e forma, a seconda dell’uso cui erano destinati. Il manufatto,
cosi’ ottenuto, veniva posto ad asciugare al sole e poi introdotto in un
forno, dove si cuoceva, assumendo colore e forma definitivi e aumentando
la sua consistenza e resistenza. Tra le forme piu’ tipiche ricordiamo:
“la bummula” ( dal greco bombulios, un recipiente che gorgoglia quando
vi si versa il liquido) di argilla color giallo paglierino che serviva per
l’alta porosita’ a mantenere l’acqua fresca.; “u ‘nziru”
(dall’arabo zir, grande orcio) recipiente basso e panciuto con ampio
labbro e orlo svasato, usato per contenere grandi quantita’ d’acqua;
“a mustichedda”, piccola brocca a bocca quadrilobata, usata a
Ferragosto durante la festa della “Madonna Assunta”; “u caruseddu”
(dal latino carrosus, per la forma di testa pelata), tipico salvadanaio di
terracotta; “a rasta”, vaso per i fiori. I prodotti dell’artigianato
lentinese non erano molto pregiati e non venivano dipinti. Quelli dipinti,
di fattura piu’ complessa, venivano importati dalla vicina Caltagirone.
Con l’invenzione della plastica e con la diffusione dei prodotti
industriali da essa derivati, la lavorazione dell’argilla decadde, per
poi scomparire quasi del tutto. Le botteghe artigiane (si ricordano i
maestri vasai Guercio e Cannone) erano site in via Pergolesi, in contrada
Porrazzeto e in piazza Giovanni da Procida. Quando scomparvero gli
artigiani vasai, al quartiere che aveva visto le botteghe piu’
importanti, rimase il nome.
-
- ***** ***** *****
***** ***** ***** *****
- Notizie tratte da "i luoghi
della memoria" di Cirino Gula e Franco Valenti - Ediprint - SR
- All Right Reserved - Diritti riservati