Lentinita': storia e personaggi
... per non dimenticare
 
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Anselmo Mateddu
FIGLI DELLA MEMORIA FOSSILE – Ed.dell’Ariete – Siracusa (1994)
Filadelfo Insolera e Francesco Bonfiglio
Tra il 1880 e il 1883 Lentini diede i natali a due illustri personaggi del mondo scientifico nazionale: il matematico Filadelfo Insolera e il neuripsichiatra Francesco Bonfiglio. Il primo e’ oggi considerato il pioniere della Scienza attuariale italiana e il fondatore di una prestigiosissima scuola di matematica finanziaria, allora seconda nel mondo solo a quella del francese Barriol. Il secondo e’ ormai annoverato tra i maggiori neuropsichiatri europei del nostro secolo e per l’importanza dei suoi studi il suo nome figura costantemente accanto a quelli di Alzheimer, Wassermann e Cerletti. Due figure di primissimo piano, eppure largamente sconosciute proprio nella citta’ che diede loro i natali. E’ ormai passato Sono passati quasi 40 anni ormai dalla scomparsa del primo e quasi trenta dalla scomparsa del secondo, e tuttavia nessuna lapide ne perpetua oggi la memoria tra le vie cittadine, nessun “j’accuse” si e’ levato a loro difesa. Il fatto che entrambi si sono affermati lontano dalla Sicilia, il primo a Torino e il secondo a Roma, non puo’ ovviamente giustificare l’incomprensibile oblio di cui sono stati fatti oggetto dalle nostre parti. (…) La constatazione che i loro nomi figurino nelle pagine dei maggiori dizionari enciclopedici, come ad esempio quelli dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, ed ancor piu’ la constatazione che acanto ai loro nomi, nell’elenco dei lentinesi illustri di ogni tempo, non vi figurino piu’ di altri quattro o cinque personaggi, tra i quali Gorgia e il Notaro Jacopo, queste constatazioni, appunto, non sono sufficienti oggi a riscattare i loro nomi dall’insostenibile peso dell’indifferenza. Anzi, mentre i personaggi piu’ antichi sono abbondantemente presenti nella nostra memoria storica collettiva, le opere di Bonfiglio  Insolera sono rimasti elementi allotri al patrimonio culturale cittadino. (…) E ora assistiamo quasi impotenti al frutto d’inesorabili processi di fossilizzazione della cultura cittadina. I casi di Bonfiglio e Insolera, grandi, forse grandissimi fuori, in Italia e nel mondo, ed oggi ignobilmente offesi d’atavica indifferenza nella loro terra di Sicilia, in fondo rappresentano proprio uno dei momenti piu’ alti di quel lento processo di cristallizzazione delle coscienze che li ha finalmente “consacrati” degli figli della memoria fossile… !
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MONS.FRANCESCO LA ROSA, MAESTRO DI VITA
da "Il Cammino" del 25 ottobre 1987
Sono passati da poco vent'anni dalla morte di Mons.Francesco La Rosa, avvenuta a Ragusa il 21 luglio del 1965 e gia' la coltre dell'oblio rischia di velare il suo ricordo. Ma chi come noi gli fu vicino fin dalla piu' tenera eta', formandosi alla vita sotto la sua guida esperta; chi come noi gli fu vicino quasi quotidianamente in una comunione di affetti che ci faceva reciprocamente partecipi degli attimi piu' belli della nostra esistenza, non puo' assuefarsi ancora al pensiero che egli non possa essere piu' fra noi ad ascoltar ei nostri infiniti problemi, a puntellare le nostre crisi, a dare un freno ai nostri entusiasmi. Nato a Ragusa dove compi' i primi studi, continuati poi presso il seminario di Siracusa, fu inviato giovane cappellano a Lentini nel 1927, ove rimase quattro anni sotto la guida dell'arcidiacono Sgalambro. Nel 1931 gli fu poi affidata dalle autorita' ecclesiastiche la parrocchia di S. Martino a Siracusa, ove ebbe modo di mettere in luce il suo zelo sacerdotale, il suo sistema di vita, al di sopra e al di fuori di ogni visione personale o di parte, sempre al servizio degli umili, dei meno abbienti, dei diseredati, senza distinzione di credo e solo nella nobile realta' dell'appartenenza alla grande famiglia umana.
La sua missione a Siracusa fu solo una breve parentesi, perche' nominato parroco dell'ex Cattedrale di Lentini nel 1935, qui rimase sino quasi alle soglie della morte. Non vi sono parole per descrivere la sua diuturna attivita', un'attivita' che non conosceva riposo, per cercare una soluzione ad ogni problema che interessava la sua citta': non vi sono parole per illustrare le sue ansie sacerdotali, i suoi slanci improvvisi, la sua poliedrica personalita'. Intui' i valori del laicato e quali impulsi nuovi avrebbe potuto e saputo portare alla missione della Chiesa: organizzo' quindi l'Azione Cattolica in tutti i suoi rami di attivita', la FUCI e la "S.Vincenzo de' Paoli" con cui diede un senso nuovo, piu' umano, piu' spirituale, piu' formativo ed educativo all'assistenza dei poveri a domicilio. Alla sua iniziativa, alla sua instancabile e caparbia attivita' si deve quella legge regionale del 1956 che va sotto il nome di integrazione della legge di riforma agraria e che, assegnando la terra ad oltre cento famiglie di ex pescatori del Biviere, rese loro giustizia. Quante amarezze, quante fatiche, quanti attacchi ingenerosi gli costo' quell'azione, che volle comunque portare a felice compimento, certo della validita' di una battaglia da lui condotta in nome di una giustizia sociale, ma anche e soprattutto nel segno della sua missione sacerdotale. Nell'orazione tenuta nell'ex Cattedrale di Lentini, a 8 giorni dalla sua morte, cosi' tra l'altro, padre Agostino Amore, oggi anche lui defunto, lo ricordava: "Era evangelicamente semplice, non conosceva tortuosita' del linguaggio, aborriva dal machiavellismo ipocrita e, pur con la prudenza e la gentilezza che le circostanze richiedevano, sapeva dire sempre la verita' a piccoli e grandi; fisso mirando ai beni supremi nella luce di Dio, senza titubanze o tentennamenti; anche se spesso il suo linguaggio francescano e leale, purtroppo per molti desueto, era giudicato falsamente e gli procurava spiacevoli conseguenze".

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LUIGI BUGLIARELLO, UN LENTINESE DA NON DIMENTICARE
Salvo' Lentini e Carlentini dalla distruzione
dal "Diario" del 11 maggio 1991 di Giuseppe La Pira
All'alba del 14 luglio del 1943 il reparto di soldati tedeschi ch'era acquartierato nelle scuole dell'ex monastero, colloco' sulla piazza di Lentini alcuni mortai puntandone le bocche verso la vicina Carlentini. Era chiaro che si voleva in qualche modo ostacolare l'avanzata delle truppe alleate che, sbarcate 4 giorni prima ad Augusta si dirigevano a marce forzate verso Catania. Ma la trovata, tanto utopistica quanto presuntuosa, mostrava i suoi limiti, giacche' era assurdo pensare che qualche colpo di mortaio potesse frenare la gigantesca macchina da guerra anglo-americana, mentre appariva evidente che essa, per l'indubbia reazione dell'avversario, avrebbe causato la distruzione di gran parte di Carlentini e di tutto il centro storico di Lentini. Se ne rese conto l'allora podesta' di Lentini dottor Luigi Bugliarello, che tento' di convincere della precarieta' dell'azione, il giovane ufficiale tedesco. Poi, visti vani i suoi tentativi , indossata la sua divisa di colonnello dell'esercito italiano, gli ordino' di rimuovere quelle batterie e di ritirarsi con i suoi uomini verso la piana di Catania, ove gia' stavano concentrandosi truppe italiane e tedesche, per organizzare quella resistenza che avrebbe inchiodato per oltre venti giorni al di qua' del Simeto l'esercito che sino allora aveva marciato quasi senza mai trovare ostacoli. E' un piccolo episodio, a molti sconosciuto, d'una guerra nata male e finita peggio, che servi' pero' a salvare d'un assicura distruzione e morte uomini e cose delle citta' di Lentini e Carlentini. Chi era il dottor Luigi Bugliarello ? Era nato nel 1880 in una delle piu' antiche e nobili famiglie lentinesi. Laureatosi in giurisprudenza, fu chiamato alle armi all'inizio della prima guerra mondiale, ove ebbe modo di distinguersi nelle zone belliche della Carnia, del Cadore e del Carso, zone in cui riporto' anche una ferita da una scheggia di bomba austriaca. Sottotenente prima, poi tenente e capitano dell'arma di fanteria, si distinse eccessivamente nella difesa del crinale di Montello -zona Piave- quale comandante di un reparto di mitraglieri. Nel 1919 fu chiamato dal Duca d'Aosta a dirigere l'ufficio propaganda della III Armata che, in qualita' di conferenziere, resse sino alla fine delle ostilita'. Dopo la firma dell'armistizio il dottore Bugliarello smessa l'onorata divisa, fu assunto dal Banco di Roma presso la sede di Trieste, ove ebbe modo di distinguersi e farsi apprezzare. Subito promosso funzionario, venne successivamente trasferito alla Cementi Isonzo SPA (societa' che dla gruppo Stock era passata in proprieta' del Banco di Roma) con la carica di direttore generale amministrativo, grado e funzione che mantenne sino al 1934, quando il Banco cedette a terzi la societa' stessa. Invitato a rientrare nei ruoli dell'Istituto col grado di direttore di sede, il dottore Bugliarello preferi', dopo un periodo di riposo, trasferirsi a Lentini per aiutare il padre nella consuzione dell'azienda agricola di famiglia. Si chiudeva cosi' un periodo tanto movimentato, ma denso di soddisfazioni, della vita del dottor Bugliarello che, rientrato nel paese natale, tento' di dedicarsi ad attivita' meno rischiose ed impegnative. Non ci riusci'. Nel 1936 infatti gli fu affidato il compito di costituire ed organizzare a Siracusa un battaglione di volontari da inviare nell'Africa Orientale Italiana, battaglione che, appena formato su disposizione del Ministero della Guerra, fu invece dirottato verso la Spagna, incorporato nel 2° reggimento Fanteria Arditi. La Spagna in quel momento era infatti travagliata da una sanguinosa guerra civile e l'Italia legale aveva deciso di inviare dei contigenti di truppe volontarie a combattere a fianco di quelle del generale Francisco Franco. Cadice, Guadalajara, Santander furono le tappe piu' importanti della sua nuova avventura bellica, in cui riporto' tre ferite nel corso dei vari combattimenti affrontati alla testa dei suoi arditi e per cui gli furono conferite sul campo di battaglia una croce di guerra, una medaglia di bronzo e una d'argento al valor militare. Ha appena il tempo di rientrare in patria, che lo scoppio del secondo conflitto mondiale lo riporta in prima linea con i lgrado di colonnello, e quale vice comandante del 33° reggimento carristi, inquadrato nella divisione corazzata Littorio, una delle prime chiamate a sostenere il peso dell'avvio delle ostilita'. Il colonnello Bugliarello e' cosi' presente con i suoi soldati prime in Francia, poi in Istria, Iugoslavia, Serbia, Croazia, Erzegovina. La morte del padre nel novembre del 1941, la necessita' di qualcuno che soprintendesse alla conduzione dell'azienda agricola di famiglia, in quanto gli altri due suoi fratelli erano anch'essi sotto le armi (Alfio, tenente colonnello di artiglieria; Federico, tenente colonnello medico) costringono il nostro, su autorizzazione delle autorita' militari, a smettere quella divisa che aveva tanto eroicamente nobilitato. Dopo qualche mese di permanenza a Lentini viene nominato Commissario Prefettizio al Comune e poi Podesta' sino lal'arrivo delle truppe alleate, al cui comandante notifica le sue dimissioni. Questi, l'inglese maggiore Peter dell'Amgot (governo militare alleato dei territori occupati), saputo dell'episodio con i tedeschi ed avuto modo di apprezzarne lo stile, la lealta' ed il coraggio, respinge le dimissioni e lo conferma in quella carica. Anzi lo nomina ancora Prefetto per alcuni dei paesi ricadenti nelle province di Catania e Siracusa, limitrofi a Lentini, con il particolare compito di sovrintendere al governo degli stessi ed all'organizzazione degli approvvigionamenti alimentari, allora sempre piu' in crisi, considerata la condizione di avamposto del territorio amministrato. Nel 1943 il dottor Bugliarello si ritiro' definitivamente dalla vita pubblica, ma continuo' ad essere un protagonista nella vita della sua citta'. Fu presidente della sezione di Lentini dell'associazione agricoltori, presidente del consiglio di amministrazione della scuola tecnica "G.Marconi", vice presidente dell'unione agricoltori di Siracusa, membro dell'associazione internazionale agrumicultori del mediterraneo, presidente della commissione tributi locali di prima istanza, consigliere dell'Automobil Club di Siracusa. Mori' dopo breve malattia nel giugno 1973, ma la sua bella figura di uomo e di soldato rischia oggi di scomparire anche dalla mente di chi ebbe modo di stargli vicino e di apprezzarne le non comuni doti. D'accordo: il tempo, tiranno nel suo eterno divenire, sbriciola i ricordi, dissolvendoli in tanti rigagnoli destinati lentamente all'oblio. Ma la personalita' del colonnello Bugliarello non potra' e non dovra' essere dimenticata. Per questo lo abbiamo voluto ricordare ai politici ed ai giovani esuberanti, alla vecchia ed alle nuove generazioni, certi come siamo con il Foscolo che ad egregie cose "il forte animo accendono l'urne dei forti".
 
 
Lorenza Grasso, Agostina Musumeci, Umberto Spigo, Michela Ursino, 
CARACAUSI. Un insediamento rupestre nel cuore di Lentini, Catania 1996
(da un articolo tratto dalla rivista "Girodivite" di Lentini)
Il volume illustra i risultati della campagna di scavi effettuata nel 1986 dall’Istituto di Archeologia dell’Università di Catania in collaborazione con la Soprintendenza di Siracusa che ha portato alla luce un piccolo insediamento rupestre fuori dall’area dell’antica Leontini il cui periodo di uso sembra sia da collocare tra il periodo tardo classico e quello ellenistico. L’insediamento di Caracausi sfruttava a fini abitativi un costone roccioso in cui gli ambienti si disponevano su diversi livelli collegati da scale intagliate nella roccia oppure costruite in materiali deperibili come corda o legno. Tale costume abitativo è stato già riscontrato nell’area urbana dell’antica colonia sin da età protoarcaica ed arcaica, e pertanto sembra caratterizzare l’impianto urbano dell’antica Leontini durante l’intero arco del suo sviluppo, costituendo una significativa documentazione dell’incidenza delle condizioni del terreno sull’impianto e lo sviluppo della città. A Caracausi le unità abitative erano composte da uno o al massimo due ambienti di forma quadrata o rettangolare ricavati per tre lati nel costone roccioso, sul quarto lato si apriva l’ingresso, preceduto in qualche caso da un breve corridoio di accesso. All’interno di alcuni ambienti la presenza di incassi circolari nelle pareti disposti in file regolari fa supporre la presenza di soppalchi sostenuti da pali di legno così da ricavare un piano superiore. I piani dei pavimenti erano costituiti da terra pressata e lisciata sopra un riempimento che doveva servire a regolarizzare il piano roccioso. Una peculiarità di quasi tutti gli ambienti è la presenza di nicchie di forme e dimensioni diverse e di banchine strette e lunghe ricavate nello spessore delle pareti laterali in una delle quali si trovavano degli incassi circolari utilizzati verosimilmente per alloggiarvi grandi vasi contenitori di derrate o liquidi. Il recupero e lo studio dei materiali, specialmente di quelli sigillati in un pozzo scoperto al margine meridionale dello scavo ha dato l’occasione di approfondire la conoscenza di alcune classi di materiali lentinesi e specialmente della ceramica di uso comune opera di fabbriche locali che elaboravano modelli della madrepatria; si tratta di vasi acromi e a vernice nera che hanno anche permesso di trarre interessanti deduzioni sullo sviluppo economico e sulle abitudini alimentari della comunità presente a Caracausi.
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La banda musicale di Lentini (1839-1958)
Notizie tratte dall’omonimo volumetto curato dagli alunni della scuola media “Riccardo da Lentini” diretti dalla prof.ssa Millauro – Ed.Aletheia - Catania 1998.
Dalla testimonianza dell’ex bandista G. Ferlito
Ho fatto parte del corpo musicale “Citta’ di Lentini” ed ho suonato il clarinetto per ben 7 anni dal 1950 al 1957. Il corpo musicale “Citta’ di Lentini” vantava una lunga e prestigiosa tradizione. Il repertorio musicale comprendeva brani di musica sinfonica ed operistica che proposti da veri talenti musicali faceva si che la banda fosse richiesta e apprezzata in molte piazze della Sicilia. Gli elementi che distinguevano la nostra banda da altre formazioni musicali erano spesso il rigore disciplinare e la competenza musicale del maestro direttore. Il corpo musicale era non solo il vanto della nostra cita’ ma costituiva un momento di svago e divertimento per i cittadini che intervenivano numerosi ad ogni esibizione che la banda proponeva tutte le domeniche presso i giardini pubblici di villa Gorgia. (..)
La ricostruzione storica
Il primo documento rinvenuto nell’archivio comunale e’ datato 26 agosto 1839. si tratta di una lettera inviata dal sottintendente del distretto di Siracusa, conte Amorelli, al sindaco di Lentini, Scapellato. (…) i componenti la banda musicale sono undici, di eta’ compresa tra i 14 e i 58 anni, suonano strumenti musicali a fiato e a percussione e vestono una uniforme rossa. La banda musicale inizia cosi’ la sua storia con un organico strumentale estremamente povero. Il 22 aprile 1841 il ministero della polizia generale in Napoli emana il regolamento delle bande musicali che estende ai componenti delle bande il gia’ esistente decreto del 24 novembre 1827 riguardante le guardie urbane. (…) e’ del 21 febbraio 1846 la deliberazione comunale che assegna un’annua pensione alla banda. (…) Successivamente la banda verra’ sovvenzionata con contributi volontari dei cittadini, col dazio sulla carne o con alcuni lasciti come quello di don Carmelo Scavonetto. I bandisti che fanno parte del corpo musicale sono in prevalenza “mastri” artigiani o apprendisti. Al calare del sole si riuniscono nella scuola di musica (attuale biblioteca comunale) e, illuminati dalle lampade ad olio, concertano i loro brani musicali con la costante presenza di una folla indisciplinata di curiosi. (…) i pezzi cosi’ concertati vengono poi proposti alla comunita’ durante le feste, sui palchi nelle piazze o nel teatro comunale (attuale pescheria). (…) Dopo l’unita’ d’Italia, a partire dal 1862, la documentazione sembra testimoniare una maggiore attenzione da parte delle autorita’ cittadine nel regolamentare incarichi, diritti e doveri di ogni bandista. (…) Il maestro direttore e’ obbligato a prestare servizio presso il comune di Lentini almeno per 5 anni. Nel periodo post-unitario la banda cresce notevolmente; dagli 11 musicanti del 1839 si passa ai 40 del 1865, si arricchisce cosi’ di timbri strumentali diversi. (…) Nel 1886 la banda e’ ufficialmente fondata ed il 7 aprile, con delibera comunale, viene eletto  maestro direttore il sig.Nicola Cecchi. Il suo corpo musicale e’ obbligato a tutti i servizi richiesti: festivita’ religiose e civili, parate militari, pompe funebri per ufficiali, guardie d’onore per appartenenti alla Guardia Nazionale. Inoltre e’ tenuta a suonare durante la stagione estiva tutti i giorni di domenica e di giovedi’ dal 24 giugno al 15 ottobre; durante la stagione invernale, oltre al giorno di natale e del primo dell’anno, anche nei giorni di domenica. Per tutto il resto dell’anno e’ tenuta a suonare il solo dopo pranzo di ogni domenica. Sempre nel periodo post-unitario, sotto la direzione del maestro Cecchi, diventano numerosi i casi di insubordinazione di alcuni bandisti, l’assenza sistematica di molti suonatori, i continui scioperi per la mancata paga mensile. (…) Nel 1876 la banda e’ in piena crisi. Il 22 giugno, su mozione del barone Beneventano, il consiglio comunale scioglie la banda musicale. Il 6 ottobre dello stesso anno il consiglio comunale approva, su proposta del sig.La Ferla Limoli, la riorganizzazione del corpo musicale. Da questo momento in poi il direttore dovra’ essere nominato mediante concorso per titoli e avra’ il compito di istituire una filarmonica (mai formata). (…) Il maestro A.Badiali, vincitore del concorso, rimarra’ in carica fino al 1878, anno in cui abbandonera’ per motivi di salute. La banda diventa occasione di grande gioia collettiva come quando “il piano piazza” si trasforma in una grande pista da ballo ed e’ il sindaco Geronimo che, con avvisi pubblici invita la cittadinanza a partecipare (28 febbraio 1878). Dal 1881 al 1883 sono molte le lettere di ringraziamento dei sindaci dei comuni di Buccheri, Caltagirone, Carlentini, Francofonte ecc. per le eccellenti esibizioni della nostra banda durante le occasioni delle loro festivita’ religiose. (…)  nel 1892, direttore maestro Cecchi, la banda conta 36 musicanti, ad essi si aggiungono 10 o 12 allievi istruiti per sostituire quei bandisti che vanno nel Regio esercito o si assentano. (…) Scaduta la nomina del maestro Cecchi, nuovo direttore e’ Giuseppe Vigoni (1892). (…)  Nel 1893-94 cambiano ben 3 maestri. Dapprima al Vigoni si sostituisce il ventottenne Federico Salerni, diplomato al conservatorio di Milano, poi e’ la volta del maestro Giovanni Pipitone, ma la malattia che lo colpisce porta nell’anno 1984 , alla nomina del maestro Giuseppe Tutrinoli..  (..) Nel 1902 si dimette il maestro Tutrinoli e gli succedono i maestri Caravaglios, Spampanato e Vitale. Il 3 novembre del 1905 la banda e’ nuovamente sciolta e nel maggio del 1906 viene ricostituita con il rinnovamento degli strumenti e delle uniformi. Ma non passano nemmeno 2 anni che il maestro Vitale, scrivendo al comune, si lamenta dello stato miserevole della banda musicale, individuandone le cause in motivi di natura economica. Le insubordinazioni si moltiplicano e con esse le multe e le sospensioni. (..) Nel 1909 Vitale si dimette, nello stesso anno gli subentra il maestro Garzia che si fa portavoce del malcontento dei bandisti. Vengono cosi’ apportate modifiche al regolamento e viene corrisposto un aumento di paga e si apportano modifiche alle loro uniformi. In seguito alla disdetta del maestro Garzia nel 1914 e’  bandito un nuovo concorso ed e’ nominato direttore il maestro Del Buono. Nel  1917, nel pieno del primo conflitto mondiale, la banda non riesce a mantenere il minimo dell’organizzazione ed e’ nuovamente sciolta. Il 16 luglio 1920 si ricostituisce. Nel 1931 il commissario del dopolavoro A.Bonfiglio comunica al sindaco che la banda musicale e’ stata iscritta d’ufficio al partito fascista. Muore il maestro Del Buono e il 31 agosto 1935 viene nominato il maestro Nicola De Pasquale. Viene anche conferito un compenso extra al maestro direttore per l’istruzione di una squadra di tamburini Balilla. Con l’inizio della seconda guerra mondiale ed il richiamo alle armi, la banda si ridimensiona notevolmente, subisce modifiche d’organico ed alla fine del conflitto nel 1945, e’ completamente sciolta.  Tuttavia nello stesso anno, su pressione popolare, il Comitato di Liberazione Nazionale ricostituisce la banda. (..) Nel 1951, dopo l’alternarsi alla direzione della banda dei maestri Semeraro e Galfano, e’ reintegrato il maestro De Pasquale. Nel 1952 e’ istituito il Comitato pro Lentini che amministrera’ i comitati pro musica, SS.Leonzio (la societa’ che gestisce la squadra di calcio locale) e le attivita’ assistenziali. La banda nonostante continui a crescer artisticamente, tanto da vincere nell’agosto 1953 un concorso bandistico regionale, inizia il suo declino. Nel 1956 con l’istituzione del “comitato comunale per le attivita’ ricreative, folcloristiche e culturali” che prendera’ il posto del “comitato pro musica”, la centralita’ del ruolo della musica bandistica, cosi’ come l’interesse collettivo per essa, sembrano tramontare a favore del crescente interesse per le attivita’ sportive della squadra di calcio SS.Leonzio. Dall’altro canto i nuovi mezzi di diffusione musicale come la radio ed il giradischi, l’apertura del cinema Odeon che si aggiunge ai cinema Tirro’ e La Ferla ed all’arena S.Croce, avevano rotto il monopolio della Banda musicale che non costituisce piu’ fonte di svago collettivo. Il 31 agosto 1958 il corpo musicale viene definitivamente sciolto.
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AD ANNA VALLE E ANSELMO MADEDDU IL PREMIO INTERNAZIONALE "IL PALADINO" 1999
Due lentinesi alla ribalta dello spettacolo e della cultura
da "La Notizia" di Lentini del 18-12-99 per gentile concessione del suo direttore Nello La Fata
 
Per la prima volta nella sua storia il Premio Internazionale "Il Paladino" è stato assegnato, tra gli altri, a due giovani personaggi lentinesi: Anna Valle e Anselmo Madeddu. La cerimonia di consegna del prestigioso premio si è svolta lo scorso 26 novembre nei locali del Teatro Vasquez di Siracusa ed ha visto la partecipazione di un pubblico attento e numeroso. Il Premio "Il Paladino", giunto ormai alla sua 28° edizione, vanta nel suo parterre nomi di tutto rilievo, come quelli di Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Salvatore Fiume, Pippo Baudo, Salvo Randone, Lydia Alfonsi, Leo Gullotta, ed altri ancora. Con Anna Valle ed Anselmo Madeddu la giuria ha voluto premiare due volti nuovi, due giovani siciliani, e lentinesi in particolare, emergenti nel settore del cinema e della cultura. La bellissima Anna Valle, come è noto, è balzata agli onori della cronaca nel settembre del 1995, quando ha vinto l'ambito titolo di Miss Italia a Salsomaggiore Terme. Da allora la sua carriera artistica è stata un continuo crescendo, con numerose partecipazioni nel mondo dell'alta moda e dello spettacolo, fino alla famosa serie televisiva "Commesse", trasmessa da RAI 1, che ha definitivamente consacrato l'ingresso di Anna Valle nel mondo del cinema. L'ultimo suo impegno televisivo è rappresentato dalla fiction "Turbo" trasmessa proprio in questi giorni su RAI 2. Anselmo Madeddu, invece, si è recentemente distinto nel mondo della cultura e della ricerca scientifica. Medico epidemiologo di valenza nazionale, Madeddu ha fondato il Registro Territoriale delle Patologie ed è Primario e Direttore del Distretto Sanitario di Siracusa.  Attualmente è Vicepresidente dell'Ordine dei Medici di Siracusa e Docente presso la Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Catania, dove tiene la Cattedra di Epidemiologia Generale della Scuola di Specializzazione di Igiene e Medicina Preventiva. Vanta parecchie pubblicazioni scientifiche attinenti l'area del management sanitario e dell'epidemiologia dei tumori. Degne di nota le sue ricerche sul ruolo anticancro delle arance a polpa rossa e sul rapporto tra l'uso di antiparassitari ed il tumore della vescica. Studi che hanno suscitato l'interesse ed il consenso di autorità scientifiche come Veronesi, Fara e Del Toma. Da tempo, tuttavia, Madeddu cura anche interessi storico letterari. Autore di quattro libri e di una ventina di monografie, Anselmo Madeddu ha esordito nel 1989 col libro "Ortigia, un crogiuolo di civiltà al centro del Mediterraneo", seguito dal libro "La Peste del sonno" nel 1993 e da "Figli della memoria fossile" nel 1994. Ma la sua opera certamente più nota è l'ultimo libro "Vittorini da Robinson a Gulliver", che ha riscosso il più ampio consenso da parte dei maggiori critici italiani del settore da toscano Massimo Grillo allo scrittore milanese Raffaele Crovi, il quale ha definito Madeddu uno "tra i maggiori interpreti dell'opera vittoriniana in Italia". A questi due illustri figli di Lentini, Anna Valle ed Anselmo Madeddu, vadano i migliori auguri per un futuro pieno di successi, nell'auspicio che possano essere d'esempio e di stimolo a tanti altri giovani siciliani.
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Cirino Paone "Leonzio" - eroe della Resistenza
da un articolo tratto dal "Cammino" di Siracusa del 28-2-98
E' stato pubblicato, con il patrocinio del Comune di Lentini, il libro di Salvatore Paone "mio fratello il partigiano Cirino Paone - Leonzio" ed.Greco. E' una interessante ricerca storica sulla vita di un "generale della resistenza", conosciuto negli ambienti partigiani con il nome della squadra di calcio della sua citta' natale: "Leonzio". L'opera ha il merito di fare luce sulla tragica esperienza bellica vissuta dal lentinese Cirino Paone, decorato con medaglia d'argento al valore militare, per le sue doti di coraggio e promosso maggiore dell'esercito per meriti di guerra. Ma chi era Cirino Paone? Ci risponde con il suo libro proprio il settantenne fratello minore, Salvatore, che vive oggi a Siracusa. L'autore scrive una storia vera che si legge tutta d'un fiato. Ricostruisce con amore il singolare cammino umano del suo personaggio, rende onore a chi ha vissuto nella rigorosa coerenza le sue battaglie ideali. Dopo la conclusione della guerra "Leonzio" - antieroe per antonomasia - uomo discreto e riservato non strumentalizza mai il suo passato di partigiano: preferisce mettersi da parte e vive a Genova sino al 1° gennaio 1980, giorno della sua improvvisa scomparsa. A distanza di anni, la sua straordinaria storia merita la rievocazione ed il fratello-scrittore si mette al lavoro: Cirino Paone non era uno qualsiasi. L'autore riscopre tutti i documenti che vedono "Leonzio" protagonista di eventi eccezionali e si sofferma in particolare sul periodo militare.Dalla chiamata alle armi, novembre 1941, e' tutto un susseguirsi di fatti impressionanti. Il fronte Russo - Al giovane sottotenente Cirino Paone giunge nel gennaio 1943 l'ordine di partire per la Russia, verso le immense pianure sovietiche ove si stanno logorando duramente le vite dei militari italiani, con temperature da 30 gradi sotto zero. Le pagine del libro ripercorrono quelle drammatiche esperienze. Rientrato in Italia, viene fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Polonia. Tutta la ricostruzione della prigionia polacca e' tratta dal diario tascabile di "Leonzio", trovato dopo la morte, per caso, tra vecchi ricordi custoditi dalla madre. L'autore della pubblicazione ripercorre storie di umiliazioni, stenti, ma anche di commovente speranza in Dio tra baracche, gelo, reticolati e guardie. Poi nel gennaio 1944, il ritorno in Italia su carri bestiame e l'avventurosa fuga dal treno verso Genova.La lotta partigiana - cominciano anni terribili per gli italiani rimasti sotto le forze naziste. Periodi di lutti, sofferenze ed ingiustizie. In quel clima inizia in Liguria la lotta partigiana. A Chiavari nasce un nucleo di "ribelli". Le pagine che descrivono azioni di guerra, tragiche vicende, scontri, guerriglie, rastrellamenti, caduti, sono tutte da leggere. Riaprono ferite, ma mettono in luce la storia di cui "Leonzio", nelle valli liguri, e' stato protagonista assieme al leggendario genovese "Bisagno", capo dei partigiani liguri. Sono numerosi gli episodi riferiti: documentano una opposizione al nazismo, condotta senza compromessi. Si legge: "I protagonisti di tante lotte contro il nemico, contro il freddo, contro la fame, si sentirono poi quasi degli emarginati della nuova societa' che sembrava vedere in loro soltanto delle comparse". La Morte - L'eroe lentinese muore a Genova appena cinquantottenne, stroncato da un improvviso malore il 1° giorno del 1980. "Leonzio" aveva espresso il desiderio di fare riposare le sue spoglie mortali nel cimitero di Lentini. Tutte le autorita' del suo paese gli resero l'ultimo saluto il 6 gennaio 1980. Da allora Cirino Paone dorme tra tanta gente "lontana" cui era rimasto legato da profondo affetto. Alla sua memoria Lentini, nello stesso anno della sua scomparsa, dedica una via cittadina. Una semplice targa ne riporta il nome: le nuove generazioni lo ricorderanno. Nel 1995 il Ministero della difesa gli conferisce il titolo onorifico di tenente colonnello.
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I Bronzi di Riace sono lentinesi?
di Gianni Cannone - da "La Notizia" di Lentini per gentile concessione del suo direttore Nello La Fata
C’è un nesso tra la città di Leontinoi e i celebri Bronzi di Riace? Secondo il prof.Salvatore Ciancio assolutamente si, soprattutto se si tiene conto della figura e delle opere di Pitagora Leontino.Vediamo come. Partiamo allora dal Pisano Baudo: Che  il  famoso statuario dalla cui rinomanza menarono vanto gli antichi sia stato Pitagora Leontino e non Pitagora di Reggio della Magna Grecia è una questione ormai risolta;un fatto pienamente accertato. E ci reca somma meraviglia come mai la Nuova Enciclopedia Italiana Popolare abbia potuto attribuire a Pitagora di Reggio le opere e i meriti del nostro Pitagora, ed altri abbiano potuto confondere questi due statuari, i quali furono ben distinti da Plinio, che nell’enumerarne i pregi diede il primato al Leontino. Era quindi già polemica sulla questione prima ancora che, a distanza di un secolo dall’uscita degli scritti dell’illustre canonico lentinese, Sebastiano Pisano Baudo,un subacqueo romano, bravo e fortunato, Stefano Mariottini, scoprisse, nell’agosto del 1972, nel mare che fu delle due Sicilie, all’altezza del Capo di Riace, i corpi superbi di due magnifici colossi bronzei.Ma cosa offriva alla storia Plinio il Vecchio a proposito di Pitagora Leontino? E’ sempre il Pisano Baudo che continua a parlare: L’avere primo fra tutti saputo condurre ad una notevole finezza i metalli e i marmi,rilevando nella statua i nervi, le vene ed imitando al naturale i capelli. Questo, intanto, il famoso passo latino che Plinio dedicò all’arte eccelsa di Pitagora Leontino: Hic primus nervos et venas expressit, capillumque diligentius. Ma quale Pitagora, visto che Plinio, oltre al Leontino, ne cita appunto un altro di Reggio Calabria e un altro ancora di Samo? L’archeologo lentinese Salvatore Ciancio, già ispettore onorario ai monumenti dell zona del Lentinese, - uno deli scopritori in assoluto dell’antica Leontinoi insieme al cultore di storia  antica locale Alfio Sgalambro e allo scrittore Carlo Lo Presti - fu il primo studioso ad affrontare seriamente il problema.Il Ciancio, riprendendo gli studi del Pisano Baudo, scrive, prima di passare a miglior vita, un trattatello sui Bronzi di Riace dal titolo: CHI DOVE COME e, nonostante le mille difficoltà provocategli da accademici presuntuosi e pseudo accademici, comincia a modellare imperterrito la sua verità. Ma, cosa mette  i Bronzi di Riace - si domanda il Ciancio - in relazione con Pitagora? Proprio il giudizio con Plinio, sottolineando i meriti del Leontino, sembra illuminarci sui pregi indiscutibili dei  Bronzi di Riace: Hic primus nervos et venas expressit, capillumque diligentius. E in realtà, osservando le opere a noi pervenute, non sappiamo chi,e in quale opera, esprima meglio tendini e vene, nonchè i capelli in maniera molto accurata. Come si può vedere, il Ciancio è sulle stesse posizioni del Pisano Baudo il quale, però, a prescindere dall’apparizione dei Bronzi, aveva in precedenza già cantato le lodi dell’impareggiabile arte bronzea del Pitagora Leontini, fiorita nel V° sec. a.C. a Lentini, in Sicilia, nella Grecia e nella Magna Grecia. Il passo di Plinio, in effetti, circa il primato tecnico e artistico del Pitagora Leontino nei confronti degli altri due Pitagora non ammette, dunque, equivoci di sorta. Così le risultanze del Ciancio, così quelle del Pisano Baudo. Ma sentiamo ancora il Ciancio: La nave che trasportava i Bronzi non raggiunse mai il porto di Atene. Era una nave greca, ovviamente. Se navigò dal porto di Leontinoi, raggiunse la zona dell’odierna Riace Marina dopo una notte e un giorno di viaggio. Tanto impiegava una nave oneraria per coprire tale tragitto. Affondò per improvvisa tempesta? Fu avvistata al largo dello Stretto e affondata da navi di Siracusa e di Messina? E’ certo che intorno al 427 i Leontini erano bloccati per terra e per mare dai Siracusani, che gli Ateniesi, pur disponendo del porto dell’alleata città di Reggio, non erano padroni dello Stretto. Crediamo, pertanto, che Salvatore Ciancio avesse avuto sempre la persuasione profonda o se vogliamo anche la fede incrollabile verso l’idea di una visione perfetta intorno alla scoperta di una sua verità inespugnabile. L’intuizione del Ciancio, comunque, parte anche e soprattutto dal fatto che nel v° sec. avanti Cristo Leontinoi era una grande e ricca e saggia e colta città della grecità.Oltre ad avere, infatti,una scuola bronzea, aveva anche una scuola di retorica e un’altra ancora di medicina, guidate, queste ultime, rispettivamente da Gorgia e da Erodico che Platone ricordò dettagliatamente nel suo Gorgia. Ecco perchè il Ciancio rileva, con sensibilità vivissima che la perfezione anatomica e le proporzioni fisiche, Pitagora avrebbe potuto apprenderle presso la scuola del medico leontino Erodico, la cui medicina era applicata per la salute degli atleti. Il Pisano Baudo, che tanto ispirò lo stesso Ciancio, così definisce il Pitagora Leontino: Fu  egli perciò il rappresentante principale di quella scuola di sviluppo nella statuaria, che precedette le scuole di arte perfetta stabilite in Atene ed in Argo da Fidia e Policleto. La verità del Ciancio sui Bronzi di Riace, insomma, quanto vale? Certo è che essa merita studio e rispetto. Guardando la straordinaria potenza e ammirando la rara bellezza dei due prodigiosi colossi bronzei, emersi improvvisamente dagli abissi marini, chi è che non ne vorrebbe sapere di più sul loro conto? L’incertezza che ruota fino ad oggi attorno alla identificazione assoluta dell’autore dei Bronzi di Riace, in ultima analisi, non è affatto una maledizione. Dopo tutto chi può contestare Sofocle quando nel suo Edipo Re  riferiva prodigiosamente: quale uomo porta con sè altra felicità se non quella che immagina...?
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Lentini e Carlentini: matrimonio possibile?
brano tratto dal settimanale "Primo" di Siracusa (luglio 2000) a firma del prof. Cirino Gula
A scadenza pluriennale, si risente parlare del tema della riunificazione, senza poi approdare a nulla. Si risente parlare della famosa delibera del Consiglio comunale di Lentini in cui si profilava l'ipotesi della riunificazione dei due comuni, senza rendersi conto che i processi di questo tipo abbisognano di altro che non di delibere, che sono pezzi di carta se non sono sostanziati di impegni di due contraenti (i matrimoni, alla fine, si fanno in due!). Ha ragione alla fine Tocco quando accenna alla possibile volontà egemonica di qualche lentinese, ma il problema, almeno per quanto mi riguarda, non e' se i lentinesi vogliono conquistare Carlentini, quanto piuttosto quale sia l'interesse dei due comuni. Voglio dire che in tempi in cui si tende a superare le barriere di tutti i tipi, in cui il ristretto ambito locale (e spesso localistico) perde di importanza, mentre acquista rilievo lo stare insieme, non foss'altro perché stare insieme conviene, sotto tutti i punti di vista, il rinchiudersi nel proprio orticello rischia di far perdere la bussola, impedendo di vedere, leopardianamente, oltre il muro della grettezza. un proverbio cinese recita: quando il saggio indica col dito la luna, l'imbecille guarda il dito. Non vorrei che il saggio abbia indicato la luna e noi ci impelaghiamo in discussioni inutili. Questo significa, a mio modesto parere, che il dibattito non può, non deve, vertere solo sulle indicazioni dei singoli esponenti politici (penso, per esempio, alla necessità di sentire gli operatori turistici, i commercianti, i poteri economici), ma deve coinvolgere tutta la comunità (intendo quella dei due paesi), perché il problema riguarda tutti, ma proprio tutti senza nessuna eccezione. Se l'impulso di Battaglia ha avuto un merito, oltre le posizioni specifiche, e' quello di aver gettato un sasso nello stagno limaccioso di un problema che non può  essere più disatteso. La domanda alla quale bisogna dare una risposta e': possono i due comuni da soli rispondere alle sfide che vengono poste dallo sviluppo? Il richiamo al passato comune, alla comune origine, allo stesso nome, alle parentele storiche lascia il tempo che trova perché ormai il trascorrere degli anni e la tempesta delle discordie hanno lasciato il sego  e sarà difficile rimarginare ferite che tra l'altro molti non vogliono curare. Non e' il passato che ci deve guidare, quanto piuttosto il futuro. Voglio dire che gli stessi interessi, i problemi comuni e la volontà di risolverli devono rappresentare la stella polare che ci guiderà in un cammino diverso rispetto al passato. Pensiamo, per esempio, ai problemi quotidiani della nettezza urbana. C'e' qualcuno che pensa che questo problema possa essere affrontato e risolto in chiave localistica o non e' il caso di arrivare ad una gestione unitaria che possa, alla fine, preferibilmente portare alla costituzione di un centro unico per lo smaltimento, il recupero e il riutilizzo dei rifiuti a scopi energetici? Pensiamo al problema viario. E' ancora pensabile che Carlentini sia tagliato fuori dall'ospedale, dalle grandi vie di comunicazione (leggi Autostrada Catania-Siracusa; 194 ecc.) e chi più ne ha più ne metta? Perché non pensare seriamente, ad esempio alla costruzione di una strada che congiunga la zona sud di Carlentini e l'ospedale, costituendo, assieme alla viabilità esistente, una specie di raccordo anulare che giri attorno ai due abitati e li cinga? Pensiamo al problema dell'acqua. Non tutti sanno che l'annoso problema idrico del quartiere Sopra Fiera di Lentini poteva essere risolto facilmente se si fosse accettata la proposta dell'On. Sergio Monaco di far pervenire l'acqua per caduta da Carlentini senza spese di motori di rilancio, per piani pozzi o quant'altro. Pensiamo al problema degli impianti sportivi. Lentini e Carlentini hanno degli impianti sportivi, pubblici o privati poco importa, ma essi sono insufficienti alle necessità delle 2 comunità. Perché non pensare alla possibilità di evitare doppioni, predisponendo un piano di interventi in questo settore, approfittando del fatto che a livello provinciale esiste un piano che riguarda i 2 comuni separatamente? Si potrebbe cominciare con una gestione comune della piscina di Lentini, usata da sportivi lentinesi e carlentinesi, in cui Carlentini non interviene minimamente. Un consorzio tra i 2 comuni (non escluderei nemmeno Francofonte, visto che anche gli amici di Francofonte usano la piscina di Lentini) potrebbe essere una soluzione. E si potrebbero creare strutture diversamente dislocate nei territori dei 2 comuni (anche 3), predisponendo trasporti che mettano in comunicazioni gli abitati. Se volessimo fare un elenco delle cose che conviene fare in comune (potenza delle parole, due comuni che non vogliono fare le cose in comune!) non basterebbe tutta la rivista che ci accoglie. Pensiamo al problema degli agrumi, al problema dello sviluppo economico (un piano comune avrebbe una ricaduta maggiore per la forza della sinergia), al problema turistico ( i 2 comuni hanno, in gran parte insieme, un patrimonio di beni culturali notevole, ma manca un piano di interventi di insieme), al problema dei trasporti, degli investimenti, della gestione dell'ambiente. Affrontarli insieme significherebbe renderli più facili, avvicinerebbe i cittadini, eviterebbe polemiche inutili. Sogni? Illusioni? Utopie? Forse. Ma spesso aspirare all'impossibile ci permette con maggiore facilità di fare il possibile. E l'unificazione? Si o no? ma chi ha detto che e' la panacea, chi ha detto che tutto dipende da questo? Con molta modestia, per evitare di urtare la suscettibilità di qualcuno, pensiamo che sia molto affrettato porre la questione in questi termini alternativi: o l'unificazione (per qualcuno l'annessione) o il nulla. Noi pensiamo che ci sia una via intermedia, fatta di cose in comune, di interventi che spostano in avanti il problema, che gettano il cuore oltre l'ostacolo, che affidano alle cose ed agli uomini di domani (migliori sicuramente di noi, intessuti di rancori, astiosi, poco propensi al cambiamento, legati ad un  passato i cui fili sono stati recisi dalla storia) il compito di risolvere il problema. Lavorare in comune, affrontare problemi comuni, creerà la necessità di incrementare rapporti, renderà indispensabile mettersi insieme, farà superare incomprensioni. Come le liti tra coniugi si risolvono nella stanza da letto, anche le diatribe tra i 2 comuni si risolveranno sul terreno del lavoro comune. Non saranno i nostri figli ad unire i  2 comuni (se questo e' il loro destino), sarà  il futuro che irromperà nelle loro case e li costringerà a fare quello che il tempo richiederà, di valicare, per dirla con Montale, la muraglia che ha in cima i cocci aguzzi di bottiglia del passato.
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La Corale Polifonica "Ad Dei Laudem"
STORIA  Il coro polifonico "Ad Dei Laudem" fondato nel 1982, svolge un intensa attività di animazione liturgica e concertistica, partecipando a diverse rassegne e tenendo numerosi concerti in Sicilia, in numerose regioni italiane e all'estero.Nel 1986 il coro si è costituito in associazione promovendo attività culturali ed artistiche volte alla diffusione della musica nel campo corale.Ha organizzato diversi corsi e seminari, tra i quali: "Dalla coscienza della voce al canto corale", tenuto nel 1987 da Marika Rizzo, il seminario "Canto gregoriano e polifonia Sacra"tenuto nel 1989 da don Nunzio Schilirò, sino agli ultimi due stages di perfezionamento nel 1995 e 1996 con il M° Sebastian Korn. Per la promozione della musica polifonica, nell'anno 1992 tenne, presso le scuole medie e superiori di Lentini e delle città vicine, una serie di lezioni - concerto completate dal saggio finale assieme agli alunni.Da diversi anni il coro ha intrapreso una intensa attività di scambi artistico - culturali, ospitando ed organizzando nella propria città, concerti di cori italiani e provenienti dalla Repubblica Ceca, Ungheria, Svezia, Lettonia, Estonia, Grecia. CURRICULUM  Il coro polifonico “Ad Dei Laudem” di Lentini, diretto da Alida Balcone, ha ottenuto un prestigioso riconoscimento a livello internazionale guadagnando il 3° posto per la sezione polifonia nel “ CERTAMEN INTERNATIONAL DE HABANERAS Y POLIFONIA” svoltosi dal 22 al 30 luglio scorso nella città di Torrevieja in provincia di Alicante (Spagna) e giunto alla sua 46° edizione. I cantori di Lentini si sono battuti con altre 23 compagini corali  provenienti da vari paesi del mondo con la prevalenza  di America Latina ( Argentina, Colombia, Brasile, Porto Rico,  Cuba, Venezuela, Messico), Portogallo, Spagna, Ucraina , Lettonia, Russia, tra i quali alcuni tra i più affermati del mondo. Questo successo italiano è il primo da quando il CERTAMEN è nato nel lontano 1954. Oltre al riconoscimento della critica il coro italiano ha ottenuto un notevolissimo consenso di pubblico e citazioni nella stampa nazionale e internazionale (El Mundo) grazie soprattutto all’ultimo brano di libera scelta, Insalata Italiana, che ha sorpreso favorevolmente per l’originalità e per l’interpretazione brillante con effetti teatrali. Nel Maggio 1994 ha partecipato a Palermo al grande raduno delle corali siciliane e al concerto "In Memoriam" organizzato dall'Associazione Regionale Cori siciliani e dedicato alle vittime della mafia. Tra le animazioni liturgiche di maggiore rilievo a cui li coro ha partecipato si citano, la consacrazione del Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa e il 10 Novembre 1996 nella Basilica Vaticana in Roma la solenne Messa in occasione del Giubileo Sacerdotale di S.S. Giovanni Paolo II, ambedue presiedute dallo stesso Pontefice. Cospicua anche l'attività concertistica con esibizione in numerose città e capoluoghi di provincia siciliani come Catania, Siracusa, Enna, Palermo, Messina, e in diverse regioni d'Italia come Umbria, Marche, Toscana, Lazio, citando le più recenti.  Nel 1993 ha rappresentato l'Italia alla VI Rassegna Internazionale tenutasi a Miskolc (Ungheria). Nell'Agosto 1997, la corale ha eseguito una serie di concerti a Stoccolma, ospite del coro Levande Ton. A riconoscimento dell'attività svolta il 21/12/1997 al coro è stato conferito il premio SICILIA IL PALADINO. Il 2 settembre 2000 ha eseguito, a Militello V.C., , la prima parte dei “Carmina Burana” di C. Orff, diretto dal M° Sebastian Korn. Vincitore del 3° premio assoluto per la sezione polifonia, alla 46° edizione del “Concorso internazionale di HABANERAS e POLIFONIA” svoltosi dal 22 al 30 luglio 2000 a Torrevieja (Spagna). Vincitore del primo premio al V concorso di polifonia popolare calabrese a Reggio Calabria, il 30 dicembre 2000. Email: adl@sicilyonline.it  Sitohttp://web.tiscalinet.it/addeilaudem 
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Carlo Lo Presti, artista di multiforme ingegno  di Giuseppe La Pira
da "La Notizia" di Lentini (n.4-2001) per gentile concessione del suo direttore Nello La Fata
Con Carlo Lo Presti ci aveva fatto incontrare la comune passione per un giornalismo per noi d'annata, anche se per gli altri relegato ai margini della nobile professione, quanto limitato alle semplici corrispondenze della città. Non era facile. Ne' comprensibile da quanti oggi vi si affacciano sorretti dalla on-line o dall'e-mail. Il giovane corrispondente allora (siamo nel 1948) doveva farsi le ossa sul campo, impegnandosi ad affrontare una infinita' di problemi, essere in grado di descrivere con obiettivita' e competenza tutti i vari avvenimenti che gli si presentavano. Lentini infatti, dimenticata quell'epoca in cui si era costretti al conformismo, all'uniformita' del pensare, al ricevere passivamente le veline che arrivavano dall'alto, nell'immediato dopoguerra si era tuffata in quella nuova atmosfera del vivere democratico, partecipandovi attivamente. Ci si abituava alla dialettica politica; nascevano e vivificavano sempre nuove attivita': il Centro Studi, il corpo musicale, la squadra di calcio, il cine-teatro Odeon, il Rotary Club, i premi nazionali per il teatro, la poesia, il giornalismo, la sicilianita'. Conseguentemente il giovane corrispondente era necessitato a scrivere i suoi articoli sui dibattiti politici, sul consiglio comunale, sugli scavi archeologici, sulle conferenze, sulle riviste teatrali, sulla "nera" fortunatamente in quei tempi assai scarsa. Riconoscerete che bisognava avere una, anche se modesta, cultura enciclopedica ed una serie di sussidi che potessero facilitarne il lavoro. Ricordo ad esempio, che per scrivere i miei pezzi sulla rinascente Leonzio, ma soprattutto per impossessarmi della tecnica e dello stile, fui costretto a fare una indigestione degli editoriali di Bruno Roghi, compianto direttore del settimanale "Calcio Illustrato". Ma la stesura del pezzo non copriva i nostri compiti: per trasmetterlo si utilizzava la busta "fuori sacco" da consegnare il piu' delle volte al vagone postale dell'ultimo treno in transito per Catania, mentre per quello urgente o "fuori orario" si era costretti a servirsi dell'unico centralino telefonico sito in via Garibaldi, gestito dall'inossidabile Alfio Gaeta ("manitta" per gli amici), condannati spesso, per ragioni di un traffico che assorbiva tutte le utenze della citta', a snervanti attese di ore ed ore. Qui di conseguenza si esaltava la professionalita' degli stenografi, che in pochi istanti dovevano ricevere, trascrivere e passare in redazione quella notizia dettata in fretta e la cui ricezione, con relativa interpretazione, risentiva particolarmente della carente funzionalita' e della limitata efficienza della rete telefonica. In quella "singolar tenzone" ci confrontavamo giorno dopo giorno con l'amico ed antagonista Carlo (io corrispondente de "la Sicilia", lui del "Corriere di Sicilia") in uno slancio continuo di emulazione, in una autentica gara che non conosceva soste nel lodevole, reciproco tentativo di pervenire allo scoop, nella speranza di una bucatura dell'altro ma soprattutto nell'intento di superarci l'un l'altro nel presentare al lettore la notizia che ci stava impegnando. Ricordo che spesso, nel commentare le mie caustiche critiche alle amministrazioni o all'esito di una partita di calcio, soleva maliziosamente dire che anziche' nell'inchiostro ero "uso intingere la penna nel veleno". Ma Carlo l'avevo conosciuto tanto tempo prima, quando seduto sui sedili in ferro del cine-teatro La Ferla, ammiravo i suoi successi di capocomico di una compagnia di giovani universitari, il cui repertorio spaziava dalla commedia alla rivista. Con lui Pippo Fuccio di Sanza', lo sciupafemmine Franz Sciacca (il locale Rabagliati e barone Von Balatizack), Luigi Cormaci (fine dicitore alla Nunzio Filogamo), Delfino Bosco (inesauribile fonte di comicita'). Prima donna la fascinosa Rosina Pisano, che sarebbe diventata la sua compagna per la vita. Indimenticabile per me la rappresentazione dell' "Aria del Continente" e la rivista "Storia di Orlando e Rinaldo", tratta liberamente dalla poesia di Martoglio e culminante con la pazzia di Orlando ppi causanza di la bedda Angelica. Poi, man mano che i giovani tornavano dal fronte o dalla prigionia, alla scapigliata brigata si aggregavano cultori di tutte le arti: Luigi Pattavina, Mario Piazza, Turi Lazzara, Silvio Riccardi (Alfio Cardillo), Delfino Sgalambro, Turiddu Guercio e tanti altri che mi e' impossibile ricordarne. Carlo Lo presti pero' non era solo questo ! Seppe ad esempio trasformare quell'ampio magazzino, ceduto in comodato al Centro Studi Notaro Jacopo dal barone Giuseppe Luigi Beneventano, in un circolo i cui saloni per la loro eleganza e recettivita' destavano la meraviglia dei tanti circoli della provincia. Era riuscito infatti a far coesistere in esso la stanza per la Direzione, un bar, due salotti di conversazione, un piccolo palcoscenico che guardava dal fondo l'ampio salone, adibito anche a biblioteca e/o sala da ballo. Per i primi Lentini seppe sfruttare la sua amicizia con Mario Gori, un delicato poeta niscemese trapiantato in Toscana, agganciando artisti, letterati, critici fra i piu' famosi d'Italia. Scriveva commedie e qui ne ricordiamo qualcuna: "Pensione 23", "Democratici in provincia", "Referendum", "Quello della prima fila", "La campana del viatico", "La casa in fondo alla strada", "Venditori di fumo", "Plenilunio", "Il Camaleonte". Per non dimenticare quell'"Attesa sulla riva del fiume", rappresentata nel 1964 nell'ambito delle manifestazioni dei "Premi Lentini per il teatro", una commedia che, richiamandosi al notissimo detto cinese, narra nell'arco di vent'anni le vicende di un morto-vivo, che riesce a balzare fuori dall'ombra quando tutto di lui sembrava dimenticato. E soprattutto quel "Ritorno di Gorgia", che costituisce il suo colpo d'ala e che interpretato da Lydia Alfonsi e da Arnaldo Nichi fu spesse volte trasmesso dai canali delle reti RAI nazionali. Nel 1969 venne organizzata una gita di due settimane a Londra. Ci prenotammo con le rispettive famiglie, ma lui poco dopo fu costretto a rinunciarvi. Il 2 aprile, mentre alla stazione mi accingevo a partire per raggiungere l'aeroporto di Roma mi giunse inaspettata la ferale notizia della sua morte davanti alla macchina da scrivere con cui si accingeva ad ultimare la sua "Sicilia Teatro". Non lo vidi piu': un avversario leale, un amico cosi' presto perduto!
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Ermanno Di Pasquale: un pianista virtuoso  di Lentinionline
Il pianista Ermanno Di Pasquale, lentinese doc, si è diplomato con il massimo dei voti al Conservatorio di Musica di Messina con la guida del maestro Franco Cristina. Si è successivamente perfezionato a Roma con il pianista Fausto Zadra presso il Centro Internazionale di Studi Musicali ed ha inoltre partecipato a corsi di interpretazione musicale tenuti da Zecchi, Agosti, Hiltbrand e Magaloff. In particolare, con il pianista Kempff ha approfondito lo studio e l’interpretazione delle «Sonate» di Ludwig van Beethoven. Ha tenuto numerosi concerti, partecipando a Festival Internazionali di musica e registrando sia per la Rai che per la Radio Vaticana. Studioso di Vincenzo Bellini, va segnalata la sua scoperta, di notevole valore musicologico, del manoscritto autografo di una Fuga a quattro voci, molto ampia, su un tema dell’Opera “I Puritani” composta dal Genio Catanese (con ogni probabilità l’ultima sua fatica) e dallo stesso compositore trasposta per pianoforte. Di Vincenzo Bellini, oltre alla «Fuga», ha revisionato altre composizioni per pianoforte, presentandole in prima esecuzione assoluta in vari concerti tenuti a Catania e, recentemente, a Roma e a Firenze. Insegna al Conservatorio di musica "Licinio Refice" di Frosinone come titolare di una cattedra di pianoforte principale.
Storia di una fuga in Ermanno Di Pasquale - di Gianni Failla (dal libro "Siracusani in cammino"-Ed.Cammino-2006)
L’ opera di Carmelo Neri “Caro Bellini... Lettere edite e inedite a Vincenzo Bellini”, stampata nell’ottobre 2001, conclude una vivace trilogia di ricerche belliniane edite da “Prova d’Autore”. Il lavoro propone ai lettori la raccolta organica delle lettere dei numerosi corrispondenti di Vincenzo Bellini, scrupolosamente trascritte ed annotate dall’autore. L’ epistolario del “Cigno” catanese ben inquadra la singolare personalità del “biondo Musicista” nell’ambito della sua stessa vita come del costume dell’epoca. Le centouno lettere comprendono un arco di tempo che va dal 1826 sino al 1835, anno in cui il Bellini tragicamente morì in Francia. Come evidenzia l’interessante prefazione del tosco‑leontino Giuseppe Cardillo, consigliere delegato dell’associazione culturale “Sicilia‑Firenze”, le ricerche di Carmelo Neri “si distinguono per la dovizia di documentazioni inedite, per lo scrupolo dei rinvii bibliografici e per le geniali deduzioni che propongono”. A pagina 131 del libro vi è una “chicca” che indirettamente “inorgoglisce” la redazione di “Cammino”: è pubblicata una lettera inedita, da Carrega indirizzata a Bellini nell’agosto 1835. Tra l’altro, vi si legge: “Mio caro Bellini, ti mando l’Album di cui ti ho parlato: fammi il piacere di comporre un estro di tua fantasia per il Piano e mandamelo...”.
La scoperta - Si legge nella nota dell’autore che questa letterina, o “biglietto”, fa pensare che Bellini abbia assunto l’impegno di una composizione da inserire nell’Album di cui gli aveva parlato l’amico. In mancanza di altri elementi, può identificarsi nella “Fuga” sul tema Se tra il bujo un fantasma vedrai dei Puritani “rid. per pianoforte”. L’ autografo, riconosciuto tale da un’accurata perizia grafica, è stato scoperto tra le carte del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma dal pianista don Ermanno Di Pasquale, che ha suonato questo brano in prima esecuzione assoluta il 18 aprile 1996, nel corso di un concerto tenuto presso il Lyceum di Catania.
La notizia - Ebbene, al concerto catanese dell’amico don Ermanno Di Pasquale assistetti anch’io per conto dei lettori di “Cammino”. Fu un successo di pubblico ed anche una grande gratificazione professionale per il maestro‑pianista, sacerdote lentinese ordinato nel 1968 e trapiantato ormai da tanti anni a Roma, ma “incardinato” nella nostra diocesi. La pubblicazione su “Caro Bellini...” di quella let­terina all’origine della “Fuga” scoperta da Ermanno Di Pasquale, riannoda adesso su queste pagine di “Cammino” il legame culturale tra il nostro settimanale ed il sacerdote‑pianista, felicemente ravvivato proprio da quell’indimenticabile incontro musicale del 1996, vissuto al Lyceum della città etnea. Don Ermanno Di Pasquale è un musicista di valore, titolare della cattedra di pianoforte principale presso il Conservatorio statale “L. Recife” di Frosinone. Ha un curriculum artistico impressionante, che testimonia l’alto livello delle sue capacità. “Innamorato” del Cigno catanese, non si stanca mai di ricercare e scoprire l’eufonia della vita, tra Vangelo e Musica. “Cammino” calorosamente si compiace che il volume “Caro Bellini...” riconosca adesso a don Ermanno il valore della scoperta di quel­lo straordinario manoscritto, di cui il nostro settimanale aveva dato l’annuncio nel lontano 24 ottobre 1996 con un articolo dal titolo “Straordinario manoscritto di Vincenzo Bellini scoperto da Ermanno Di Pasquale sacerdote lentinese”. Vincenzo Bellini certamente era morto con il desiderio che questo suo ultimo lavoro fosse conosciuto e divulgato. In quella felice occasione del 1996, in redazione fummo anche noi particolarmente lieti per la diffusione della scoperta tra la gente. Per il rispetto dovuto alla verità, il lettore consenta al cronista questa pur legittima ostentazione di una primizia di sei anni fa, pubblicata nella “Paginatrè” di questo settimanale di… periferia, cui lo “scoop” giornalistico in esclusiva non monta certamente la testa.
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Eugenio Colombo - celebre spalla di Angelo Musco di Gianni Cannone per Lentinionline
Di Eugenio Colombo (Lentini 1885 - Catania 1976) troviamo nota nella monumentale opera di Carlo Lo Presti "Sicilia Teatro": << figlio d'arte da tre generazioni, sin da giovane recito' insieme al fratello Lindoro (marito di Rosina Anselmi), dal 1912 al 1914 nella compagnia di Giovanni Grasso. Il suo particolare temperamento comico lo porto' a staccarsi dal grande attore drammatico per affiancarsi ad Angelo Musco. Tranne la parentesi bellica del 1915-18 (dove fu ferito sul Carso) rimase nella maggiore compagnia comica siciliana sino alla morte del grande comico (1937). Poi segui' la sorte della compagnia Abruzzo-Anselmi e nel secondo dopoguerra venne scritturato dal Teatro Stabile di Catania. Era nato a Lentini nel 1885 e si rivelo' subito per certi strani tipi che riusciva a mettere in berlina. Suo padre era stato il piu' grande interprete della nota maschera siciliana "Pasquino" e non poteva che ereditare l'arte difficile della creazione di macchiette che resteranno impresse poi come veri personaggi di molte commedie siciliane. Dotato di un timbro di voce teatralissima (forse l'unica nel suo genere in tutto il teatro italiano) si ricordera' specialmente per l'indimenticabile sagrestano di Fiat Voluntas Dei e per quasi tutti i tipi che creo' per il repertorio di Musco. Con l'Anselmi tento' la via del capocomico, ma ormai la sua figura era relegata ai tipi che il pubblico di tutta Italia gradiva e non poteva facilmente disfarsene.>>
Nel 1996 la citta' di Lentini ha pensato bene di dedicare ad Eugenio Colombo una via a futura memoria (La notizia n.21 del 9-11-96). La scheda di questo figlio illustre di Lentini, presso la Commissione Toponomastica, porta la firma del giornalista Gianni Cannone. (Approfondimento su Internet)
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Salvatore Brancato - Premio Archeoclub "Sebastiano Pisano Baudo" 2002  - di Lentinionline
Salvatore Brancato, numismatico e studioso della storia leontina e di S.Alfio, nasce a Lentini nel 1926. Appena ventenne emigra a Milano dove per anni e' bibliotecario del Centro Numismatico Milanese. Nel 1982 va in pensione e si puo' dedicare con maggiore impegno ai suoi studi: la storia e i personaggi storici di Lentini, con particolare riguardo ai SS.Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino. Spunto delle sue riflessioni sono soprattutto gli intrecci storici che spesso intercorrono fra Lentini (patria natia) e Milano (patria adottiva). Forte della sua notevole conoscenza nel campo numismatico, in parecchi anni, raccoglie una grande mole di prezioso materiale. Una prima raccolta viene alla luce nel 1985 con la stesura di 2 volumi  "Uomini e Santi di Lentini". Nel 2000 una ulteriore raccolta di materiale viene a formare una seconda opera intitolata "Terrone e Polenta". In essa vengono riportate preziose notizie, degne di ulteriore approfondimento,  come quella sull'esistenza di una basilica dedicata a S.Tecla, venuta alla luce diversi anni fa, esistente sotto il sagrato del Duomo di Milano [ foto ]. Il riferimento ai SS.Martiri Alfio Filadelfo e Cirino e' contenuto nel ser.77 di S.Ambrogio, vescovo milanese. Probabilmente, visto l'elogio di S.Ambrogio dedicato ai SS.Martiri lentinesi (che certamente conosceva), nonche' il periodo di realizzazione della costruzione, la basilica di cui sopra potrebbe riferirsi alla Tecla leontina, donna di nobile famiglia e ricca proprietaria, cugina di Alessandro, seguace di Tertullo, tiranno di Lentini. Tecla, colpita da paralisi alle gambe, venne miracolata dai 3 Santi Martiri e successivamente santificata. Una terza e ultima raccolta di materiale dal nome "Ricerche" viene alla luce nel 2002 e riguarda soprattutto i SS.Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino, protettori di Lentini, nonche' Ambrogio, Vescovo e Patrono di Milano. Tutti questi volumi, pubblicati in pochissime copie, sono custoditi presso la Biblioteca Civica di Lentini e presso la Biblioteca della Chiesa di S.Alfio. Nell'aprile del 2002 il Sindaco di Lentini Raiti premia il sig.Brancato con una targa per aver donato alla Biblioteca Civica rari e preziosi testi di numismatica [ foto1  foto2 ]. Infine per i meriti della sua opera di ricercatore e studioso a Salvatore Brancato il 14-12-2002 viene conferito dall'Archeoclub di Lentini il Premio "Sebastiano Pisano Baudo" 2002   [ foto ].
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Un salto nella storia: copia de "La Rinascita di Lentini - Elezioni Amministrative del 6 Nov 1960" - di Lentinionline
Riproponiamo un numero speciale del giornale "La Rinascita di Lentini" pubblicato, a cura della Democrazia Cristiana in occasione delle elezioni amministrative svoltesi a Lentini il 6 novembre 1960. Nelle 5 storiche immagini, che si commentano da sole e che per agevolare la lettura, abbiamo mantenuto in formato a4 (attendere il caricamento), si vedono i candidati e poi gli eletti della DC, nonche' alcune notizie relative alla "Lentini" dell'epoca.
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IL MERCATO DEL GIOVEDI’ - una festa per la città di Lentini    ® di Carmela Vacante

Nella città di Lentini ( SR ), da tempo immemorabile, il giovedì di tutte le settimane ( fatta eccezione per i giorni festivi ), nell’area circostante lo Stadio comunale, viene allestito un caratteristico Mercato, u GIOVEDDI’, che, via via, è diventato sempre più grande, più ricco e più importante ed ha acquistato una rinomanza che si estende a tutti i paesi limitrofi e oltre. Facendo delle ricerche sulla origine di questo Mercato la mia curiosità  è stata attratta da un libretto “ I LUOGHI DELLA MEMORIA “- Toponimi e Immagini di Lentini - ( autori : Cirino Gula e Francesco Valenti ), dove ho trovato l’origine di molti curiosi toponimi,  relativi ad alcune aree della città nelle quali, nel passato, si tenevano Fiere e Mercati , e che , pur non  avendo una specifica attinenza  con le origini dell’attuale Giovedì, indicano avvenimenti commerciali che, nella storia della città, hanno avuto una grande importanza e una certa rinomanza in tutto l’interland, per il movimento umano e di merce che si veniva a creare : i “Buffetti “ e “ Supra a Fera “, la prima ubicata tra via G. Verdi e Piazza Nazionale e la seconda, dai confini non ben definiti, che va da via Piave e via Del Museo fino alla chiesa di Santa Croce .

 “…I Buffetti si rizzavano nelle festività di Ognissanti e dei Morti e i titolari vendevano frutta fresca e secca …calia, castagne secche, fichi secchi che costituivano, insieme a qualche gioco, il regalo che “ i Morti “ lasciavano ai bambini buoni … “  “…Supra a Fera “  indica l’area dove  “…Sino agli inizi della seconda guerra mondiale, si  svolgeva  una Fiera famosa e tra le più antiche di tutta la Sicilia , che faceva accorrere gente da tutta l’Isola. La fiera , detta di S.Giorgio, si svolgeva dal 18 al 21 Aprile e serviva per la vendita e per l’acquisto del bestiame …I proprietari sostavano, il giorno prima della fiera, in periferia e facevano il loro ingresso in paese contemporaneamente. Lo sparo di un mortaretto dava il segnale che autorizzava l’ingresso degli armenti in città ( a trasuta da fera )… Accanto ai venditori di bestiame c’erano gli ambulanti che vendevano attrezzi di lavoro e tutto ciò che aveva attinenza con il bestiame e l’agricoltura come finimenti , zappe , scale ecc…” ( da “ I Luoghi della Memoria “ di Cirino Gula e Francesco Valenti ) . In seguito la fiera , per motivi igienici, fu trasferita nell’area adiacente il Campo sportivo, per poi scomparire del tutto  nel 1948  per essere spostata  da  Lentini  a   Melilli  (vedi  avvertenza del Sindaco del 30 Aprile 1948 ). Intanto era sorto nella città  , diventando  a poco a poco sempre  più importante, il Mercato settimanale del Giovedì, con vendita di generi vari tra cui  tessili, mercerie, metalli, giocattoli, ecc., che era ubicato a Piazza Umberto I dove rimase fino al 1946. Successivamente (vedi comunicazione del Sindaco del 22 Genn. 1947 ) il  “ Gioveddì  “ fu trasferito in Piazza Oberdan dove, ingrandendosi ulteriormente, rimase fino agli anni settanta. Ricordo ancora con esattezza come erano sistemate le varie mercanzie : l’area principale della Piazza Oberdan era totalmente occupata dalle bancarelle dei tessili e delle mercerie  che fornivano i materiali necessari per una sorta di artigianato , il cucito su misura , molto diffuso nella zona e praticato anche a livello casalingo , ormai  scomparso quasi del tutto : non  erano ancora  decollate le grandi  industrie delle confezioni  e  la   gente   si  “ vestiva” presso i bravi sarti locali , i “ custureri “;  la gran parte delle donne , poi , sapeva cucire e ricamare e con tanta bravura e creatività , utilizzando  scampoli  comprati  al  mercato  con  poche lire , riusciva a confezionare abiti e altri indumenti per sé e per la famiglia , risparmiando molto . Il mercato di frutta , ortaggi e , soprattutto , di formaggi e salumi , era ubicato nella piazzetta prospiciente la Chiesa di Santa Maria La Cava , Piazza Alemagna , a cui si accedeva salendo la monumentale scalinata , a tutt’oggi esistente . Col passare degli anni il Mercato diventava sempre più grande e più ricco di merce e pertanto si prospettava la necessità di trasferirlo in un’area più consona per poter garantire una più ordinata e razionale sistemazione delle centinaia di bancarelle e un’esposizione delle merci più adatta alla fruizione da parte di tutti . Il trasferimento si rendeva necessario anche per garantire una più scorrevole circolazione, e, soprattutto, per lasciare  libera da ingombri la via di accesso all’Ospedale Civile . Il Mercato del Giovedì fu trasferito pertanto nell’area circostante il Campo Sportivo occupando in un primo tempo anche via Dello Stadio ; successivamente , sempre per  motivi di traffico , il mercato fu spostato a Largo Monreale e su tutte le strade adiacenti, estendendosi sempre di più fino ad occupare anche il Largo Agre e altre strade , in un’area diventata ormai tanto grande da non essere più molto gestibile.   Il giorno del Mercato, poi , gli abitanti della zona restano praticamente “ sequestrati in casa “ per tutta la mattinata e parte del primo pomeriggio , per consentire le operazioni di pulizia ; la sua attuale ubicazione , infatti , non permette loro di utilizzare le macchine e non garantisce alcuna sicurezza pubblica o di pubblica incolumità : non è possibile l’arrivo tempestivo di un’autoambulanza o di altri mezzi di soccorso , per non parlare poi delle condizioni  igieniche, non del tutto a norma di legge. Il Mercato per un breve periodo ( vedi delibera della Giunta Municipale del 29 Gennaio 1990 ) fu trasferito in Contrada Alaimo , nella cosiddetta zona 167, per consentire i lavori di ripristino dell’acquedotto e della rete fognante esterna; in tale zona rimase anche per il periodo immediatamente successivo al terremoto di S.Lucia del 13 dicembre 1990, per ragioni di sicurezza; tale ubicazione, eccessivamente decentrata , suscitò la disapprovazione e le proteste della popolazione . Pertanto , rimosse le ragioni del suo temporaneo trasferimento, il Mercato ritornò nella sua sede naturale , presso il Campo Sportivo , dove è a tutt’oggi , con tutti gli annosi problemi dei quali si discute sempre e che fin’ora non hanno trovato una soluzione accettabile. Le diverse Amministrazioni comunali, hanno discusso spesso (l’Amministrazione attualmente in carica ne sta discutendo ancora), sulla necessità di trasferire questo mastodontico Mercato in altra sede; si è tornati  a proporre ancora la contrada Alaimo , la zona 167 ; sebbene l’area che pare risulti la più idonea all’esigenza e su cui l’attuale Consiglio Comunale si è  pronunciato per un prossimo spostamento , sia il Largo Patti , che non è molto distante dalla sua attuale ubicazione; qui verrebbero create anche delle infrastrutture  per la Protezione Civile e il Mercato si potrebbe estendere fino ad occupare anche l’area circostante, attualmente agricola. Questa nuova sistemazione dovrebbe garantire una migliore e più razionale sistemazione delle oltre 350 bancarelle e un più preciso controllo da parte dei Vigili Urbani , avendo solo due sbocchi : un ingresso e un’uscita ; potrebbe servire anche per rivalutare un Quartiere un po’ “dimenticato “ e portare una giusta soluzione a tutti gli innumerevoli problemi legati a questo importante Mercato settimanale che fa parte della storia e dell’immagine della  città  che  ha  dato i natali  a  Gorgia  ,  a Iacopo Da Lentini  e tanti altri illustri Personaggi. Lasciando agli Amministratori locali il compito di dirimere questa “ingarbugliata matassa “ devo onestamente dire che oggi  il ” Gioveddì  “ costituisce per Lentini un evento importante ma che , ogni giovedì , condiziona tutta la vita della città , crea ingorghi al traffico , già caotico negli altri giorni : molte strade vengono occupate dal Mercato e la circolazione automobilistica viene dirottata su altre vie che , conseguentemente , si intasano a dismisura . A questo si deve aggiungere il disordine che si viene a creare nelle strade limitrofe tutte occupate anche dalle macchine degli avventori , parcheggiate in maniera piuttosto caotica , nonostante l’attenta sorveglianza dei Vigili Urbani ; ma non è possibile immaginare Lentini senza questo notevole avvenimento settimanale , perché ormai fa parte integrante della vita di questa città e costituisce una delle sue più importanti e caratteristiche  attrattive. Il volume di affari di questo grandissimo Mercato è incalcolabile ed anche la città ne trae un certo beneficio economico e,  soprattutto , molto prestigio. All’alba di ogni giovedì , nelle zone prestabilite , affluiscono mezzi di vario genere che trasportano ogni tipo di merce e le attrezzature per montare le bancarelle . I venditori arrivano anche da paesi abbastanza lontani quali Paternò , Adrano , Bronte , Catania , Augusta , Siracusa , Ragusa , Modica,  Vittoria , etc ; utilizzando gli spazi loro assegnati , montano le bancarelle , aprono i caratteristici ombrelloni giganti , espongono le loro merci disponendole nella maniera esteticamente più gradevole e accattivante . Due strade , che nell’area del Mercato formano una sorta di ali , di accesso e di uscita , sono totalmente occupate dalle bancarelle e dai furgoni –frigorifero adibiti alla vendita di frutta , ortaggi , verdura , pollame , pesce , formaggi , insaccati , dolci , conserve e altri prodotti tipici della gastronomia tradizionale siciliana e locale . Uno spazio non molto esteso , ma abbastanza frequentato, è riservato agli agricoltori locali che vendono i prodotti stagionali e quelli dei loro terreni tra cui le arance , i mandarini , i limoni , la cicorietta selvatica , gli asparagi , gli amareddi  (infiorescenze della senape selvatica ) e l’ anciti  (bietole selvatiche) molto usate nel nostro paese per farcire la tipica focaccia lentinese detta cudduruni ; c’è poi un  angolo dove i vecchi  pescatori  vendono  ancora  il  pesce  d’acqua  dolce  come  le  anguille,  le tinche, i muletti (cefali)  e i larunghi  (rane) che a noi lentinesi piacciono tanto e che ci hanno fatto guadagnare il simpatico  appellativo di larunghiari . Il grosso del Mercato , quello che occupa l’area più estesa , è costituito dal settore dell’abbigliamento in senso lato che è veramente ricchissimo di merce e spesso offre delle ottime opportunità di acquisto a prezzi stracciati : scarpe , vestiti , pantaloni , cappotti , impermeabili , piumotti , pullover,  costumi da bagno , biancheria intima , calze e accessori vari quali borse , cinture , sciarpe , coppole , foulards , ombrelli , etc… E poi , mescolati tra i vari generi,  aree destinate alla vendita di piante e fiori , veri e artificiali ; bancarelle che vendono stoffe di ogni tipo , prodotti di profumeria , giocattoli , utensili per la casa , generi di merceria varia… C’è proprio una grandissima scelta ed è difficile che chi si reca in questo Mercato possa lasciarlo senza aver comprato qualcosa ; magari , poi , guardando meglio a casa gli oggetti comprati ci si può pentire delle spese effettuate , non tanto perché non valesse la pena spendere in una simile cosa , ma il più delle volte perchè ci si lascia tentare dai costi molto contenuti e si corre il rischio di acquistare cose  superflue, inutili e che non ci servono, o che non ci potranno mai servire.

Il  “Gioveddì “ è il salotto della città; in questo luogo si incontrano tante persone, si apprendono e si diffondono notizie riguardanti matrimoni, nascite, funerali, avvenimenti vari… si incontrano parenti, amici… si distribuiscono manifesti pubblicitari… Negli ultimi anni si utilizza anche come luogo per fare propaganda elettorale… Nel periodo che precede le elezioni si assiste alla sfilata dei candidati importanti che, con un codazzo di sostenitori, girano per il Mercato per farsi vedere e per accattivarsi le simpatie delle donne e, soprattutto, per accaparrarsi i voti: quanti saluti  e quanti complimenti si ricevono in quei giorni carichi di souspance e di aspettative… quante amicizie nuove si scoprono … C’è proprio da guardare e da sentire! E’ uno spettacolo per gli occhi e un salutare divertissiment  per la mente osservare tutta questa umanità colorata e indaffarata che si muove tra le bancarelle , straripanti di merce , trascinando ingombranti , quanto pericolosi , carrelli carichi di spesa e spingendo , tra il caotico movimento delle persone , carrozzine  con bambini frastornati semisepolti da borsette di plastica piene di mercanzia . Non mancano , poi , le piccole disavventure a cui spesso si va incontro: si dimentica o si perde qualche cosa; si subisce qualche scippo… Tutto questo, però, fa parte del colore di questo fantastico Mercato che esercita su tutti un fascino e un’attrazione irresistibile e che, soprattutto le donne, considerano un importante punto di riferimento e di incontri perché in esso ognuna  trova  quello che  cerca. Frequentano il "Gioveddì" anche donne provenienti dai paesi limitrofi quali Carlentini, Scordia,  Pedagaggi, Francofonte utilizzando estemporanee navette a pagamento messe a disposizione da privati che approfittano dell’occasione per fare un po’ di quattrini. Anch’io vado spesso al Mercato del giovedì e non solo per fare la spesa . Mi attirano molto i colori , il movimento della gente , le scenette che si svolgono tra le bancarelle e in mezzo alle  strade , i capannelli di “ incontri “ che creano ingorgo al flusso dei frequentatori più frettolosi ed impazienti. E’ un mondo che mi affascina e con il mio innato spirito di osservazione riesco a coglierne gli aspetti più caratteristici e a trarne ispirazione per le mie pitture o per comporre qualche poesia, come quella  che chiude queste mie osservazioni e che credo colga assolutamente l’essenza di questo importante avvenimento settimanale e ne mette in risalto gli aspetti più caratteristici con  garbata e un po’ graffiante ironia .

U GIOVEDDI’ -  Stu iornu da simana e fimmini ci scoppa ‘nta testa ; / si susunu magari cchiù tisi , ci pari na festa !  /  ‘Nta na vulata li subbizza si fanu  / e , poi , tirannu u carrellu , o mercatu si ni vanu .  /  Tutti li posti e li bancarelli iddi si furriunu :  / taliunu , arriminunu , pigghiunu , posunu…nun posunu !  / Si fermunu a parrari cu parenti e cummari  / ‘nmenzu a la strada , co piriculu di cascari.  / E li genti ca sa n’ha vinniri li so cosi  / unghi e siddiati i mannunu a ddu paisi.  / E quanti cosi accattunu ccu l’Euru cummattennu ; / e quantu tempu perdunu ddi centesimi cuntannu !  /  S’accattunu u frummaggiu , u baccalaru , i pira , u pumaroru ;  / a lattuga , a sinapa e l’anciddi ( a pisu d’oru ) !  / S’accattunu i vistini , i coffa , i causi i cammisi,  /  i russetti , i giocattoli p’addevi , e tanti cosi aruci ;  / i scappi , i buttuna , i quasetti e a biancheria / ca , senza russura , si provunu ‘nmezzu a la via! / Si carricunu comu e scecchi ccu borsi e bursittini;  / pari c’ha veniri a guerra o , di lu munnu la fini!  / E , poi , quanta genti s’incontra a dda iurnata ,  / magari pirsuni can un s’avevunu vistu ppi n’annata . /   Pari ca tutti sa n’ha datu appuntamentu , / pi cuntarisi li peni , cu tantu lamentu. / U giovedì , ppi stu paisi , è propriu na iurnata speciali / picchì ‘nda ddu iornu si teni u mercatu generali. / Però è , magari , a iurnata de scippi e de fregaturi salati: / tra borsi rubbati e cosi fraciti , ppi boni pagati, / ognuna s’arritira a casa stanca e avviluta assai, / e fa lu prupositu di nun ci turnari acchiù…mai ! / Ma poi passa tutta na simana intera , / e agghiorna lu “santu giovedì”, iurnata di fera. / Senza pinsari acchiù a chiddu c’ha passatu / ognuna s’abbessa di cursa e addizza  ppò mercatu. / Certu ca è un modu di passari na mattinata spensierata, / ‘nmezzu a tanta genti c’addiventa sempri cchiù arraggiata. / Accattari , parrai , sparrari , camminari e taliari / è la megghiu cura ppi li nervi abbaciari. / E accussì ogni simana di tutti li misi, / specie li fimmini , arditi e tisi / si dununu appuntamentu a stu mercatu, / tantu disprizzatu , ma da tutti anningatu.   ® Carmela Vacante

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Gaetano da Lentini: ambasciatore dei randagi - a cura dell'associazione P.A.C.E. di Lentini (Giu 2009)

Qualche settimana fa su face book c’era un appello “Qualcuno ha visto di recente Gaetano? Rispondete, per favore, non lo vedo da tempo e sono preoccupata!” Frasi così a casa o tra amici li sentiamo spesso: chiunque non vede Gaetano per pochi giorni va a chiedere in giro notizie. Personalmente devo confessare che ogni volta che Gaetano mi si avvicina e mi saluta con una strusciata di testa o di spalla, dopo averlo accarezzato per ricambiare, mi guardo in giro fiero, come per dire “Vedete? Io sono suo amico”. Tutti così, ormai a Lentini. Ma per noi Gaetano non è solo l’amata mascotte della città, né soltanto il cane di tutti e neppure solamente il personaggio che ci aiuta a rompere il ghiaccio con gli sconosciuti senza dovere fare ricorso alle condizioni meteorologiche; egli è anche il più grande diplomatico inviato dal mondo animale in quello degli uomini per avvicinare le due le due specie; il personaggio che ha fatto aumentare enormemente la capacità di esprimere amore e affetto dei lentinesi; una bandiera attorno alla quale ci ritroviamo come comunità. Una volta “lintinisi larunchiari” oggi “lintinisi gaetani”. Forse è giunto il momento di modificare lo stemma della città: al posto del leone, Gaetano placidamente sdraiato all’ombra della Torre. Ma lui sicuramente ci chiede altro: un po’ d’amore e di attenzione in più anche per i suoi fratelli meno noti e fortunati e una mano a quel gruppo di Angeli-Santi-Eroi dell’associazione PACE che spendono buona parte della loro vita per proteggere, nutrire, curare, salvaguardare Gaetano e i suoi fratelli.  Dal Blog di Guglielmo Tocco 

 
Nella Piccolo e "La voce dell'anima" - di Lentinionline
Nella Piccolo è nata a Carlentini e qui e' vissuta da sempre. E' venuta a mancare nel 2005 ormai ultranovantenne. La sua vita, segnata da dure prove, è stata sempre ricca di interessi estetici. Il suo spirito ha viaggiato in un universo popolato di immagini fantastiche, alimentato dalla fervida immaginazione di un cuore di fanciulla. Per non dimenticare.. vogliamo qui rendere omaggio alla sua poesia e alla sua alta "Voce dell'anima"..... 
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Le Incartatrici - Tra figure femminili e vecchi mestieri - di Carmela Vacante - ®Lentinionline
Tutte le sere, quando stavano per chiudere la bottega di generi alimentari e gli avventori si facevano più radi, i miei genitori preparavano tutto quello che sarebbe servito il giorno dopo. Specie nel periodo delle arance aprivano molto  presto  perché tra  le cinque e  le sei  del mattino scendevano da “ Sopra la fiera “ le incartatrici ( i ‘ncattaturi ) per recarsi ai magazzini ( e miazzè ) per lavorare le arance e si fermavano nella nostra bottega per comprare il mangiare per la giornata (.....) 
 
Salvatore Lazzara: il Partigiano Matteo - di Gianni Failla (dal libro "Siracusani in cammino"-Ed.Cammino-2006)
In un libro la drammatica storia di un partigiano, a distanza di ben sessant’anni, per un’ansia di chiarezza e verità. Il decano dei giornalisti della nostra provincia, il dottor Giuseppe La Pira, ha intelligentemente recuperato le memorie di vita partigiana dell’ormai ottantatreenne avvocato penalista lentinese Salvatore Lazzara, riannodando straordinari ricordi di dure esperienze, che hanno marcato indelebilmente gli anni del giovane universitario della nostra terra, sottotenente di complemento a Settimo Torinese, proprio all’indomani dell’otto settembre del 1943. In quell’atmosfera di tragico sbandamento, di completo disordine, di diaspora generalizzata, Salvatore Lazzara nella lontana cittadina di Settimo Torinese, sciolto ormai l’esercito del Regno d’Italia, imparò a vivere in libertà di pensiero e di azione con la scelta di campo della “Resistenza”. A costo della propria vita, il giovane Lazzara passò alla clandestinità e si unì alle formazioni partigiane, con il rischioso compito di contrastare in Settimo Torinese e dintorni le forze armate nazi‑fasciste.
Eroismi e viltà - Assunse presto il comando della formazione “Brigata Patria”, combattendo da protagonista con il nome di “Matteo”, in prima linea, affrontando contro i nemici i gravi pericoli di una lunga lotta armata. Le sue responsabilità partigiane divennero sempre più pesanti e difficili tra conflitti a fuoco, vendette, morti, rappresaglie, imboscate, sabotaggi, eroismi e viltà, orrori che non stavano mai soltanto da una parte o dall’altra, in lontane e tragiche giornate da rileggere anche criticamente, ed ancora oggi non “decantate”, nonostante la buona volontà di molti. Salvatore Lazzara, dopo oltre un anno e mezzo di azioni partigiane, ven­ne catturato dai “brigatisti neri”, proprio a Settimo Torinese, il 3 marzo 1945. Trasferito a Torino nella Caserma Cernaia, subì continui maltrattamenti e pestaggi. Lo attendeva ormai la fucilazione oppure la deportazione in Germania, ma ‑ a pochi giorni dalla Liberazione ‑ fu rilasciato grazie ad un provvidenziale “scambio di ostaggi”. Il “partigiano Matteo” rimase a Torino sino al 25 aprile del ’45, sino al sorgere di quella nuova alba di speranza per l’Italia. A Settimo, riprese il comando della sua brigata, liberando la città dalle Brigate Nere. Divenne il Primo Comandante Partigiano della Piazza di Settimo “libera”, formando la polizia del popolo in difesa della democrazia.
Il rientro - Successivamente le formazioni partigiane, deposte le armi, cedettero il posto ai politici e spuntarono i soliti mestatori opportunisti. Per le strade del Nord si videro marciare tanti “partigiani”, tali divenuti soltanto dopo aver fiutato la direzione del vento. Salvatore Lazzara fu insofferente, sorpreso per la corsa allo scavalco ed ebbe anche nostalgia per la sua terra. Presentate le dimissioni, contrastate ma comprese, fu autorizzato e rientrare in Sicilia. Con una presuntuosa Fiat Topolino, iniziò la sua corsa verso il Sud, verso Lentini. Poi, finalmente, l’abbraccio con i genitori ed il ritorno allo studio, alla vita quotidiana, alla famiglia ed al lavoro. La città di Settimo Torinese però non dimenticò mai quel giovane partigiano e nel 1981 conferì all’avvocato Salvatore Lazzara, “Matteo”, la cittadinanza onoraria, con pergamena consegnata solennemente, il 25 aprile, nel corso delle manifestazioni celebrative dell’anniversario della Liberazione. Nel frattempo i diari di “Matteo”, le memorie di quegli avvenimenti, continuavano a restare nel cassetto più segreto della scrivania del penalista lentinese. La polvere vi si adagiava inesorabilmente giorno dopo giorno, sino a quando La Pira, vincendo le ultime riluttanze di Lazzara, non li ha portati alla luce, mettendovi ordine, “facendoli parlare senza enfasi o frasi fatte”, mantenendoli entro i confini di quelle forti esperienze di storia, affidate adesso alle doverose riflessioni dei figli del Duemila.
 
Padre Sebastiano Castro: tra la gente, con discrezione - di Gianni Failla (dal libro "Siracusani in cammino"-Ed.Cammino-2006)

Sebastiano Castro era nato a Lentini il 18 giugno 1929. Dopo gli anni ginnasiali, con la guida spirituale di don Giovanni Di Grande, entrò sedicenne nel Seminario arcivescovile di Siracusa. Al termine degli studi, il 29 giugno 1952 dall’arcivescovo mons. Ettore Baranzini venne ordinato sacerdote ed assegnato a Melilli quale vice parroco di don Sebastiano Marino nella chiesa madre. Dopo circa cinque anni padre Castro fu trasferito a Lentini nella chiesa madre di mons. Francesco La Rosa. Nella sua città natale si inserì bene senza mai voler apparire protagonista. Eppure le successive vicende della Chiesa lentinese lo portarono presto ad assumere un ruolo di primissimo piano, nonostante la sua propensione a non voler fare la “carriera” di parroco. Nel 1966 venne infatti chiamato dall’arcivescovo mons. Giuseppe Bonfiglioli a succedere, nella storica ex cattedrale, a don Giovanni Maria D’Asta, del quale era stato vicario dal 1963 per tre anni. Da allora è stato arcidiacono‑parroco della matrice di Lentini, ininterrottamente per trentaquattro anni, assumendo per alcuni periodi anche l’incarico di vicario foraneo per le tredici parrocchie dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte.

La sua vita si innervò generosamente con quella di migliaia di persone. È stato localmente il sacerdote delle grandi e piccole occasioni. Uomo dalla tenace speranza, contro ogni cocente delusione, in decenni di forti transizioni sociali e morali, nella difficile Lentini ha saputo essere profondamente fedele alla Chiesa. Parroco paziente e saggio, punto di incontro per preti e laici, intransigente sul piano dei principi veri. Sempre tra la gente con discrezione, attento a non cadere nelle trappole degli errori. Legato con zelo alla festa patronale di S. Alfio, patrimonio secolare di tante generazioni di lentinesi; attento pure alle buone tradizioni, sensibile ai robusti richiami di una terra ricca di storia. Poi, beffardamente, la salute non lo ha più sorretto in questa quotidiana fatica a servizio dell’Uomo di fine millennio. Mons. Castro nel maggio del Duemila ha dovuto lasciare la sua terra, la sua gente, i suoi amici, pur rimanendo fortemente legato a tutto ed a tutti: si trasferì ad Ostia Lido, assistito amorevolmente dalla sorella e dai suoi familiari. Nel giugno del 2002, con i confratelli della diocesi e con la gente della sua Lentini, volle festeggiare i cinquant’anni di ordinazione sacerdotale. Assieme all’arcivescovo mons. Giuseppe Costanzo, nell’affollatissima chiesa di S. Alfio visse momenti d’intensa commozione, circondato dall’affetto e dalla stima di centinaia di amici. Alcuni però, con amarezza, notarono un preoccupante aggravamento delle sue condizioni di salute. Mons. Castro dovette ritornare ad Ostia, ma confidava teneramente il suo vivo desiderio di tornare a lavorare in diocesi... se avesse potuto. Questo suo legame con il territorio era più forte di quanto lui stesso non avesse inizialmente pensato. Poi, sfortunatamente, il suo fisico crollò in maniera precipitosa, lasciando in tutti un senso di tristezza ed umana impotenza. Morì a Roma il 12 febbraio 2003. In occasione dei funerali, a Lentini i presenti seppero cogliere ancora tutta la profondità della sua generosa anima sacerdotale.

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Pippo Centamore: un caro ricordo - di Lella Nigroli (dal periodico "Murganzio" di Salvatore Martines-Ott 2008)

Sono già passati tre anni dalla sera in cui mi è stata comunicata la improvvisa, ed assolutamente inaspettata, morte di Pippo Centamore. Lo avevo visto la mattina in Tribunale; sembrava in perfetta forma fisica, anche se qualche tempo prima aveva subito un piccolo intervento chirurgico, ed era sereno e gioviale. Non potevo crederci, non poteva essere vero che, ad appena qualche ora di distanza, quel Pippo che avevo incontrato e con il quale ci eravamo intrattenuti a parlare, fosse morto. Di Lui ho ricordi legati al mondo del lavoro, e della professione forense. L’ho conosciuto nel 1986 quando era Vice Segretario Generale del Comune ed io vinsi il concorso di Capo dell’Ufficio Legale dell’Ente. Nello svolgimento delle proprie funzioni si è sempre contraddistinto per le doti di equilibrio e di obiettività. Ha fatto sempre prevalere la legittimità degli atti e l’interesse del Comune prescindendo dalle proprie idee politiche, a tutti ben note. Abbiamo lavorato solo per qualche anno insieme, perché presto egli decise di lasciare quel mondo al quale aveva dedicato i suoi anni migliori, per intraprendere la professione di avvocato del libero foro. Nel frattempo, io ho avuto modo di raccogliere la sua difficile eredità e, da circa 15 anni, ricopro oltre che il ruolo di Capo dell’Ufficio Legale, anche l’incarico di Vice Segretario Generale al Comune di Lentini.

Anche dopo il suo collocamento in pensione, l’Avvocato Centamore ha continuato ad essere per la nostra Città un punto di riferimento sia per le problematiche legate alla gestione del Comune che nel campo del Diritto amministrativo, ricoprendo, nell’ambito dello stesso Ente, incarichi prestigiosi, quali quello di “Esperto del Sindaco”. La grande esperienza maturata nei lunghi anni di lavoro dipendente gli consentiva di essere sempre prodigo di consigli, come con chi scrive, anche con tutti i dipendenti del Comune che lo interpellavano frequentemente per sottoporgli qualunque genere di problema. Ancora oggi, nello svolgimento del mio lavoro, mi capita di trovare appunti scritti di suo pugno, e spesso mi ritrovo a pensare che, se fosse ancora fra noi, non esiterei a consultarlo per confrontarmi e ricercare insieme le migliori soluzioni per tematiche di particolare complessità. Di lui ricordo ancora l’attaccamento alla famiglia ed in particolare il grande amore per il nipotino Carlo, la cui nascita trasformò l’uomo, apparentemente inflessibile e rigoroso, in un nonno amorevole e tenero. Purtroppo il destino ha voluto che questa nuova dimensione della Sua vita, spesa oltre che per la famiglia ed il lavoro anche per la politica attiva che più volte ha avuto necessità della sua esperienza e della sua autorevolezza, non avesse lunga durata.  Lella Nigroli

 

Luigi Briganti: Fortunello - dal periodico "Patria Indipendente" del 25 giugno 2006

Luigi Briganti è nato a Lentini (Siracusa) il 24 aprile 1924. Il padre, Vito, era originario di Sortino (Siracusa) dove faceva il contadino, e la madre, Sebastiana Gaeta, era fornaia. Dalla loro unione, prima di Luigi, era nata una figlia, Concetta, deceduta all'età di sessantaquattro anni. Pur essendo dunque di origine contadina, condizione da sempre in Sicilia dura e difficile e fonte di grandi sacrifici e di continue privazioni,il giovane Luigi, dopo le scuole dell'obbligo, venne avviato agli studi superiori e frequentò il liceo classico nel collegio "San Michele" di Acireale (Catania). Nel maggio 1943, all'età di diciannove anni, Luigi dovette interrompere gli studi perché l'Italia fascista, in guerra dal 10 giugno 1940, aveva bisogno di tutti per combattere a fianco dell'alleato nazista.Fu destinato nel nord, a Ivrea (Torino), al 64° Reggimento di fanteria. Qui gli toccò adattarsi a un diverso modo di vivere e si trovò a fare nuove esperienze, che lo portarono a scelte decisive per tutto il corso della sua esistenza, a divenire protagonista, suo malgrado, di imprese leggendarie. Dopo pochi mesi che aveva indossato la divisa, Luigi si trovò, come tanti altri giovani, ad assistere alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, e, dopo quarantacinque giorni, allo sfacelo dell'esercito italiano dopo l'armistizio dell'8 settembre.

Allora sembrò crollare tutto intorno a lui, non poté neppure raggiungere la sua terra, perché l'Italia era ormai divisa in due tronconi: la Sicilia e il sud erano infatti stati liberati dagli eserciti interalleati con lo sbarco in Sicilia (9 luglio 1943) e a Salerno (9 settembre 1943). Sugli eventi che vanno dall'8 settembre 1943 alla fine dell'inverno 1943-'44, Luigi Briganti racconta:«L'armistizio del settembre 1943 mi sorprese a Ivrea. Dal maggio, allora avevo diciannove anni, prestavo serviziomilitare nel 64° fanteria. I meridionali erano molti e molti furono infatti poi i meridionali partigiani. «C'era una confusione immensa. Noi ci eravamo allontanati ed eravamo giunti vicino a Boves, proprio al momento dell'eccidio. I tedeschi per la rabbia avevano dato alle fiamme molte case, avevano bruciato un industriale e un prete. E allora, dinanzi a tanta ferocia, decidemmo di combattere. «Mi unii al comandante Rino Giuseppe Rigola. Diventaiun partigiano. Mi vestivo da prete, da contadino, da donna e portavo messaggi nei paesi circostanti, agli altri comandanti partigiani, a Torino, agli operai, ai tramvieri, per spingerli allo sciopero. Tedeschi e "repubblicani" smantellavano tutto, ferrovie, fabbriche, e questo allora bisognava evitarlo. Partecipavo alle azioni di guerriglia. Si affrontavano i carri armati con le bottigliette incendiarie, si distribuivano volantini per cercare di evitare che i giovani si arruolassero nelle formazioni fasciste. «Ai primi di marzo 1944, nel corso di un'azione isolata contro impianti militari delle truppe nazifasciste allo scopo di reperire armi e munizioni, caddi prigioniero in mano nemica. I tedeschi avevano una mia foto; non so come, ma l'avevano. Sapevano chi era il comandante "Fortunello". Mi portarono nelle carceri di Casale Monferrato e subito mi chiesero di rivelare nomi, nascondigli e programmi delle formazioni partigiane. Se avessi parlato, avrei fatto crollare il movimento della Resistenza in Piemonte. Dinanzi al mio mutismo iniziarono le sevizie più feroci. Io dicevo soltanto: "Non potete, non potete trattare così un uomo!". Erano bestie. Pregavo tanto che la morte mi soccorresse».Per il suo periodo di detenzione e per il suo processo presso le carceri di Casale Monferrato, ci avvaliamo della testimonianza di un ex ufficiale della "X M.A.S.", che ci dice: «Nel febbraio del 1944 ero ufficiale di collegamento tra le Forze armate della R.S.I. e il Servizio segreto del Comando militare tedesco, posto agli ordini del generale Wolf. I Servizi militari di informazione segnalavano, quale elemento assai pericoloso e di molto coraggio, il partigiano "Fortunello", alias Luigi Briganti, che, travestito da contadino, spesse volte scendeva dalle valli piemontesi a Torino per prendere contatti con il Comitato di liberazione nazionale, portando a compimento con estrema audacia azioni di guerriglia partigiana. Ai servizi di informazione era stata fornita, da persona di Cigliano (Vercelli), una fotografia del Briganti; questa pertanto fu diffusa in tutti i comandi militari sia tedeschi che italiani e sul Briganti fu posta una forte taglia con l'ordine di sparargli a vista. La sua presenza era spesso segnalata a Ciriè, Caselle, Caluso, Strambino, Ivrea e in quasi tutto il Canavesano e nelle valli. «Un giorno da Casale Monferrato giunse notizia che, durante un'azione contro impianti militari, era stato catturato il partigiano "Fortunello", e in quell'occasionemi fu ordinato di recarmi sul luogo onde interrogare, per conto del Servizio militare informazioni italiano, il prigioniero. «Lo trovai in una cella. Era orripilante per le inumane sevizie subite da parte dei tedeschi, e pertanto rivolsi le mie rimostranze al comandante del reparto tedesco per questo modo di agire non consono allo spirito latino. « Durante l'interrogatorio del Briganti, mi resi conto del suo amore di patria, al di sopra di ogni fazione politica, e fui commosso dalle sue splendide parole e rimasi sinceramente ammirato, anche perché si trattava di un mio conterraneo. Dall'interrogatorio si passò a un cordiale colloquio, nel corso del quale Briganti affermò che avrebbe stoicamente affrontato ogni tragica conseguenza del suo operato, fiero del dovere compiuto per un bene supremo. «Quel ragazzo con cui parlavo non aveva che diciannove anni e un viso più da imberbe che da adulto. Sebbene militante in altro campo, mi resi conto che chiunque combatte, anche dalla parte opposta, con coraggio, con spirito ardimentoso, merita il rispetto dell'avversario. «I rapporti tra me e Briganti divennero fraterni e amicali, tanto che mi offrii quale suo difensore a un processo sommario che gli venne fatto dai tedeschi, al termine del quale fu condannato alla pena capitale mediante fucilazione alla schiena. Ancora oggi ricordo la sua reazione, il suo ultimo grido, che fu quello di "Viva l'Italia" e il suo ultimo desiderio che fu quello di essere fucilato al petto». La sera del 20 marzo 1944, Luigi Briganti, condannato a morte, chiese e ottenne di incontrarsi con un sacerdote suo amico di Livorno Ferraris (Vercelli) e in quella occasione gli consegnò una lettera da recapitare ai suoi genitori a Lentini, lettera che non giunse mai a destinazione, in quanto Briganti fu liberato dai suoi compagni e il prete consegnò poi il documento agli archivi partigiani di Torino alla fine della guerra. Lo scritto del partigiano "Fortunello", redatto il 20 marzo 1944 nelle carceri di Casale Monferra, diceva: "Cari genitori, mai sono stato calmo come in questo momento; so che fra poche ore per me sarà finita per sempre. Sono contento di aver fatto il mio dovere per la patria immortale e per la guerra partigiana. Contro i nazifascisti io non ho rimorso; ma l'avranno loro quando punteranno le armi contro di me per assassinarmi.Dò i miei diciannove anni alla patria e cadrò contento per questa nostra Italia di martiri e di eroi, sicuro che in un domani ritornerà la libertà a questo Nord Italia ove i tedeschi con l'aiuto dei fascisti di Salò spogliano le nostre industrie e portano via in Germania anche le rotaie ferroviarie e spargono il terrore tra il popolo.Perdonatemi, papà e mamma, se vi ho fatto soffrire. Vi prego di non piangermi; stanotte per la prima volta mi sono confessato e comunicato, appagando il vostro desiderio; però convinto dell'esistenza divina. Vi raccomando il mio nipotino Filadelfo e insegnategli ad amare la patria con tutto il cuore e a seguire la via dell'onore. Sono cattolico e certamente, come il mio confessore mi ha detto, io che ho il corpo martirizzato, troverò conforto e la mia anima si unirà a quella degli altri miei compagni caduti per la libertà. Non ho tradito nessuno: avrei potuto salvarmi, ma al tradimento ho preferito la morte. Ricordo tutti i miei parenti e amici e desidero che il mio corpo venga portato al cimitero di Lentini. Bacio voi, papà e mamma, mia sorella, i miei nipotini, mio cognato. Pregate per me. Vi bacio forte, forte. Vostro indimenticabile figlio Luigi Briganti, "Fortunello della Garibaldi". Valle di Lanzo. W l'Italia, W i partigiani. 20 marzo 1944".Del processo e della sua liberazione, "Fortunello" ci racconta: «Processo? Una farsa. In pochi secondi un tribunale tedesco mi condannò alla fucilazione alla schiena. lo protestai. "Non sono un bandito", dissi, "lo sono un partigiano. Dovete fucilarmi al petto". Un ufficiale della "X M.A.S." ebbe un pizzico di pietà e mi consigliò di ubriacarmi prima di affrontare il plotone di esecuzione. lo chiesi solo un po' d'acqua per lenire il dolore delle ferite che mi martoriavano le carni, ma mi fu rifiutata. Mi buttarono addosso le mie stesse urine, che tenevano da parte. Solo un prete, un cappellano, mi diede un po' di sollievo. Mi diede la sua fascia. "Cosi", mi disse, "sentirai meno freddo". Si strappò la camicia e mi fasciò le mani insanguinate. «All'alba mi portarono vicino a un torrente per fucilarmi. Mi misero lì, io ero già mezzo morto per il dolore, le fratture, dagli occhi non ci vedevo. Quanto sentii crepitare i moschetti, gridai "Viva l'Italia!". Ma i colpi di moschetto non erano dei tedeschi, erano dei partigiani venuti a salvarmi. Così mi ritrovai sopra un camion con i miei compagni che mi abbracciavano. Mi portarono nel Canavese per curarmi. A Torino fu prelevato il professor Dogliotti e fu proprio il celebre medico a mettermi su e a ridarmi di nuovo le forze per tornare in montagna».Negli attimi che precedettero il trasferimento dinanzi al plotone di esecuzione, il 21 marzo 1944, in un vigneto sulle colline del Monferrato, fu scattata una fotografia, che pubblichiamo e che da sola commenta le condizioni in cui era stato ridotto il partigiano. Non si è mai saputo da chi questa foto sia stata scattata, né come poi finì, anch'essa, negli archivi partigiani di Torino. Briganti, sfuggito alla fucilazione con i suoi compagni di lotta, operò nell'alto Monferrato quale comandante di un distaccamento della 42a Brigata "Vittorio Lusani" dell'11 Divisione "Patria Monferrato", nel Vercellese e nel Torinese, nelle zone di Moncrivello, Villareggia, Mazzé, Vische, Strambino e Ivrea. È in questo periodo che "Fortunello" incorse in un secondo drammatico episodio, che così lui stesso ci racconta:«Sì, fu nel marzo del 1945. Eravamo in montagna, nel Vercellese. La neve era ancora alta. lo mi trovavo in una cascina con un ex ufficiale della "X M.A.S." che aveva disertato e si era unito a noi. Con i disertori i repubblichini erano spietati. Vennero a cercarlo, perché qualcuno, forse, aveva detto di averlo visto dalle nostre parti. Quando giunsero, io ero con questo ufficiale; forse lo videro. Sta di fatto che io lo nascosi in un buco dietro il caminetto e accesi il fuoco, misi una scodella con del latte sopra e feci finta di niente. "Un disertore? Mai visto", dissi. Ma loro non mi credettero. Dicevano: "Noi lo abbiamo visto da lontano. Tu lo conosci. Dov'è?". Non parlai. Se lo avessero scoperto, avrebbero passato per le armi me e tutti gli abitanti delle cascine vicine. Avevo già sfidato la morte una volta, ci provai per la seconda. Mi bastonarono, mi colpirono alla testa e al petto con i calci dei moschetti. Mi tramortirono e mi trascinarono legato a un carro sulla neve per centinaia e centinaia di metri. Le donne del luogo si misero tutte in ginocchio e chiesero pietà per me».Il padrone della cascina, testimone oculare, così ricorda l'avvenimento: «Briganti venne picchiato e schiaffeggiato e minacciato di morte. Erano presenti anche quelli delle cascine Moglietta e Margherita e il comportamento eroico di Briganti strappò l'ammirazione di tutti. Gesto veramente valoroso, che solamente i veri patrioti della tempra di Briganti potevano compiere in quel periodo pieno di rischi. La cascina venne messa sottosopra, ma non trovarono il Vaudagna (l'ex ufficiale della "X M.A.S."). Sacrificando se stesso, il Briganti aveva salvato la vita di Vaudagna, della moglie Noretta, della figlia Maura, del sottoscritto, di mio figlio Dino, di mia figlia Irma, la cascina che volevano bruciare e il bestiame. Il suo gesto lo rese popolare nella zona. Briganti venne tascinato nel carcere di Cigliano, ma non tradì nessuno, sebbene venisse ancora picchiato. Dopo si seppe nella zona che i partigiani volevano liberarlo, ma vennero arrestate le staffette di Moncrivello e l'azione fallì. Poi lo portarono a Torino. Il ricordo di questo giovane valoroso e coraggioso è rimasto vivo nella zona e noi gli siamo sempre riconoscenti». Anche il parroco e il viceparroco convalidano i fatti sopraesposti. Un altro testimone oculare, un ex impiegato del Comune di Cigliano,segretario del Fascio repubblicano di Cigliano e commissario prefettizio del Comune di Moncrivello durante la Repubblica di Salò, in una dichiarazione firmata davanti al sindaco di Masserano (Vercelli), così dichiara: «Su Briganti pendeva un mandato di arresto. Un giorno che non posso precisare, essendomi recato per dovere di ufficio presso il Comando R.A.P .(Reparti Anti Partigiani) e precisamente dal maggiore Terzoli, ho potuto vedere il Briganti nella sede del Comando stesso circondato da militi, tra cui vi era il tenente Spadoni. Seppi in seguito che Briganti era stato catturato nella zona di Moncrivello dagli stessi militi; rinchiuso nel carcere del Comando, era stato più volte percosso al fine di estorcergli delle notizie riguardanti i movimenti e le operazioni partigiane. Posso affermare che il giovane partigiano dimostrò sempre una temerarietà e un coraggio non comuni, che lo resero famoso nella zona, grazie ai quali diversi altri partigiani furono salvati dalla sicura fucilazione e dalle rappresaglie. Esempio tipico, noto a tutta la zona moncrivellese e ciglianese, quello del sottotenente medico veterinario Vaudagna, a cui salvò la vita nascondendolo in una botola e facendosi seviziare pur di non dire parola al suo riguardo». Briganti così prosegue il suo racconto:«Una mattina venne il maggiore Terzoli e disse, rivolgendosi a me e agli otto alpini della R.A.P. e alle due staffette che dovevano (d'accordo con i partigiani) bloccare le armi automatiche che davano sulla piazza: "Vi fucilo sotto il campanile della chiesa", luogo dove già erano stati fucilati tre partigiani, "come traditori e Briganti come partigiano". Essendo ferito gravemente alle gambe, protestai perché volevo morire in piedi e porgere il mio petto al nemico. Intervennero subito gli alpini Romagnoli e Belli, che mi sollevarono di peso dicendomi: "Moriremo tutti in piedi abbracciati per la patria". Una volta fuori dal carcere mi portarono a Torino. Gli alpini furono portati a Santhià e liberati il 25 aprile. A Torino subii maltrattamenti e torture alla caserma Lamarmora di Via Asti e duri interrogatori al comando della Controguerriglia. Non essendoci posto alle "Nuove", mi portarono all'ultimo piano della caserma Cavalli, mi scaraventarono a terra in un luogo senza vetri, dove il freddo era pungente.«Un giorno portarono trentasei ostaggi. I partigiani in uno scontro a Ceresole d'Alba avevano ucciso quattro tedeschi, quindi preparavano la rappresaglia. Tra gli ostaggi c'era il dottor Silvio Aragno, nipote del prefetto di Pavia Tuminetti, che subito si avvicinò a me e, vedendo che sanguinavo a causa delle botte ricevute, si fece dare i fazzoletti di alcuni ostaggi e mi medicò alla meglio. Per suo interessamento gli ostaggi non vennero fucilati e lui si rifiutò di tornare in libertà. Ma il Comando tedesco voleva la rappresaglia. Incominciò così la retata degli ostaggi. lo venni prelevato di peso e portato sul camion; ma prima di partire tutti si strinsero attorno a me abbracciandomi. La rappresaglia doveva avvenire in Piazza Castello, per dare un esempio, così dicevano, ma per fortuna non avvenne. Mi prelevarono invece le S.S. tedesche che mi portarono al Comando germanico. Dopo alcune sere, su di una autoambulanza, venivo portato prima a Caluso Canavese e dopo all'ospedale di Mazzé e scambiato con alcuni ufficiali tedeschi catturati dai partigiani in Valle d'Aosta. «Così finii in ospedale. Camminavo con le stampelle e con esse il giorno della Liberazione salii su un camion e, imbracciando un mitra,partecipai alla liberazione di Torino. La 42a Brigata si ritirò a Crescentino e il comandante Renato mi portò al Comando della 11 Divisione "Patria" a Casale Monferrato, dove ebbero per me parole di incoraggiamento e di augurio per la mia salute. Poi tornai a casa. «Da due anni i miei non avevano più notizie. Erano sicuri della mia morte. Trovai loro in lutto e la fame più nera. E io ero ridotto male, malissimo. Le ferite, le cicatrici, le ossa che mi avevano spezzato, non mi davano pace, gli incubi mi inseguivano. Tornai di nuovo al nord, ritornai al sud. Stavo male fisicamente e moralmente. Poi qualcuno mi aiutò: mi vestì, mi sfamò, mi portò da un ospedale all'altro per diversi anni, impiegò diversi anni per far sì che tornassi a essere uomo dopo tutto quello che avevo subito; mi mantenne all'università, dove mi ero iscritto alla Facoltà di Medicina, e, grazie a lui, presi la laurea il 14 novembre 1957. «Nel maggio 1959la Presidenza del Consiglio dei Ministri mi informava che era stata assegnata la Medaglia d'oro al valor militare al comandante "Fortunello" della Divisione "Patria" e dei partigiani della Valle di Lanzo. Con decreto 2 giugno 1979, il Presidente della Repubblica, la Medaglia d'oro al valor militare Sandro Pertini, mi concedeva la più alta decorazione della Repubblica italiana, quella di Cavaliere di gran croce. «Ho due specializzazioni, una in odontoiatria e protesi dentaria e una in igiene». Oggi Luigi Briganti, sposato con Francesca Policastro, laureata in Farmacia, ha tre figli: Vito, di ventidue anni, laureando in medicina; Pietro, di diciassette anni, che frequenta la quarta ragioneria e Gabriella, di dieci anni, che ha appena iniziato le medie. Vive a Lentini, dove è Ufficiale sanitario. Briganti però ha ancora qualcosa da dire. Si dice che la notte dorma con la luce accesa e che spesso gli incubi lo sveglino. Egli allora grida: «I tedeschi, i tedeschi! Lasciatemi morire... ». «È vero, è vero», ci dice Briganti, «mi sveglio gridando. Provo la stessa paura, gli stessi brividi di allora. Poi mi guardo attorno e trovo mia moglie che mi conforta. Una volta si spaventava anche lei. Purtroppo una vita non basta per dimenticare certi episodi che ti sono penetrati nelle carni e che hanno lasciato delle cicatrici dolorose e profonde. Per due volte sono stato dinanzi al plotone di esecuzione tedesco e fascista. Sono uscito vivo perché Dio mi ha aiutato. Ma la morte l'ho vista dinanzi agli occhi, anzi posso dire che l'ho implorata, quando sono stato bollato alle spalle con il ferro rovente a forma di croce uncinata. Ho avuto il mento spezzato da un calcio, il setto nasale rotto da un pugno, alcune vertebre cervicali rotte a colpi di moschetto, le unghie dei piedi strappate con le pinze, spilli nei genitali,
sigari accesi spenti sul mio viso...». Qui termina la storia del partigiano "Fortunello": una storia drammatica, di sangue, di dolore, ma anche di riscatto, simile a tante altre di giovani che, come lui, hanno trascorso gli anni migliori della loro vita in una guerra cattiva, con ideali veri e ideali falsi, inutili per alcuni, scuola suprema per altri e che a tutti fecero comprendere molte cose. Ed è proprio per questo che nell'anno 1983, Luigi Briganti, oggi medico professionista, che vive nell'apparente benessere dell'epoca del consumismo, tornerebbe a fare quello che ha fatto quando aveva vent'anni, e dice: «Tornerei a fare le stesse cose di allora, se mi trovassi nella stessa situazione. Difficilmente racconto ai miei figli, nati in un periodo diverso, con una vita del tutto diversa da quella mia di allora, la mia storia, la storia dei partigiani che morirono e si batterono per la Liberazione. Non è facile capire. Bisogna aver vissuto quei momenti, e io dico che chiunque si fosse trovato, come mi trovai io e i miei compagni, a Boves, il giorno dell'eccidio, avrebbe imbracciato le armi e combattuto. Quelle case bruciate, due uomini arsi vivi, il puzzo della carne umana, il terrore dei bambini e delle donne nella piazza del paese... Chi non avrebbe reagito e non avrebbe provato rabbia dinanzi a tanta violenza? «Non ho fatto nulla di speciale. Ho fatto solo il mio dovere. Oggi cammino a testa alta; un tradimento, al quale mai pensai, mi avrebbe ucciso più delle pallottole di un plotone di esecuzione».

Motivazione della concessione della Medaglia d'oro al valor militare: "Comandante di distaccamento di una formazione partigiana, dà ripetute vivissime prove di temerarietà e ardimento, incitando e trascinando i compagni nelle azioni più rischiose. Nel corso di un'azione isolata contro impianti militari delle truppe nazifasciste, compiuta a Casale Monferrato, cade prigioniero in mano nemica. Sottoposto alle più atroci torture nell'intento di ottenere da lui notizie sulla organizzazione delle locali forze partigiane, rifiuta sdegnosamente di fornire la benché minima informazione. Liberato dai suoi compagni, quando già innanzi a lui era stato schierato il plotone di esecuzione, nonostante che le profonde ferite causategli dalle torture non fossero ancora rimarginate, riprende il posto di combattimento con immutato slancio. Ancora convalescente, evita - con atto di suprema generosità - la certa cattura di un ufficiale delle formazioni garibaldine, cedendo a questi il proprio nascondiglio e volontariamente costituendosi alle truppe nazifasciste. Nuovamente sottoposto ad altre più feroci e beffarde torture, dà, ancora una volta, esempio di altissima fedeltà alla causa, opponendo ai barbari aguzzini il suo eroico, doloroso silenzio. Liberato con lo scambio di prigionieri, eppur costretto a camminare su occasionali stampelle, trova tuttavia la forza di partecipare alle operazioni militari svoltesi nelle giornate conclusive della Liberazione. Esempio veramente luminoso di assoluta dedizione, tenacia, e completo sprezzo della vita.

Valli di Lanzo, febbraio 1944 - Alto Monferrato, aprile 1945".

 

Filadelfo Aparo: eroe dell'antimafia - da www.isiciliani.it

Filadelfo Aparo nasce a Lentini il 15 settembre 1935. Si era arruolato nel 1956 ed aveva prestato servizio a Bari, Taranto, Nettuno e, da ultimo, alla Questura di Palermo, Squadra Mobile, prima nella sezione antirapine e poi alla catturandi. Per il suo coraggio e la dedizione al dovere meritò numerosi premi e riconoscimenti. Venne assassinato in un agguato di mafia, la mattina dell'11 gennaio 1979, a Palermo, in piazza tenente Anelli n°25, con numerosi colpi di lupara. Il suo assassinio si deve alla vendetta delle cosche che decisero eliminare un "segugio" particolarmente efficiente e pericoloso. Il sottufficiale era impegnato in delicate indagini mirate all'individuazione degli organigrammi di cosche mafiose palermitane. Entrato a far parte dell’esercito nel 1956, prestò servizio presso le sedi di Bari, Taranto, Nettuno e alla Questura di Palermo, dove operò inizialmente nella sezione antirapina e qualche anno dopo nella squadra “Catturandi”, nella quale divenne degno membro, grazie al suo straordinario coraggio. Infatti, proprio per i valori in cui credeva e per la passione e tenacia che metteva nel compiere semplicemente il suo dovere, gli vennero assegnati numerosi premi e riconoscimenti, tra cui, nel 1968, l’avanzamento di grado d’appuntato grazie alla determinazione che mostrò all’interno di un’operazione che si concluse con l’arresto di un rapinatore.

 

Ma non solo: nel 1978 ricevette un altro importante apprezzamento, poiché era riuscito ad individuare e bloccare, con decisiva e audace manovra, due pericolosi latitanti all’interno della propria autovettura, arrestandoli dopo un aggressivo scontro con i due. La felicità del Vice Brigadiere e della sua famiglia, dopo i numerosi encomi ricevuti, non fu destinata tuttavia a durare molto. Infatti, la mattina dell’11 gennaio 1979, in una silenziosa, tormentata e quasi isolata Palermo, alle ore 8:30 circa, Filadelfo Aparo 43 anni fu colpito da innumerevoli colpi di arma da fuoco (nello specifico della «P 38» e di un fucile a canne mozze caricato a pallettoni di lupara) proprio sotto casa, mentre salutava la moglie affacciata al balcone. Il poliziotto non ebbe tempo di difendersi con la pistola d’ordinanza, i colpi da parte dei killer furono decisivi e lo fecero precipitare a terra, spaventosamente sfregiato, sotto gli occhi increduli di un suo vicino di casa, anch’esso ferito, non gravemente, il quale pochi secondi prima aveva scambiato con lui qualche parola. L'assassinio del brigadiere diede il via ad una massiccia operazione di polizia. La città venne quasi stretta d'assedio con una maglia di decine di  posti di blocco e venne chiesto anche l'impiego di elicotteri. Uno di questi velivoli rintracciò l'auto usata dai killers per l'agguato: data alle fiamme ed abbandonata nella borgata Pagliarelli, sulla strada per Altofonte, un paesino della Conca d'Oro, attorno a Palermo. Pur non escludendo alcuna pista, polizia e carabinieri decisamente imboccarono la strada della « vendetta ». Il brigadiere Aparo era diventato ormai, infatti, un investigatore troppo temuto dalle gang dei rapinatori. Tutta la sua già lunga carriera — sedici, ininterrotti anni, in uno dei servizi più delicati, quale quello della prevenzione dei reati di rapina e degli omicidi — era punteggiata di rilevanti successi. A tal punto, che il suo lavoro e le operazioni che riusciva a portare a termine, avevano dato vita a decine di aneddoti. Una volta raccontano commossi alla Squadra Mobile, arrestò in un cinema del centro un pericoloso ricercato che assisteva alla proiezione. Si sedette accanto a lui e gli disse in un orecchio “adesso non far baccano, così non se ne accorge nessuno”. E gli fece scattare le manette che poi copri con l'impermeabile ed uscì col suo uomo a braccetto. Come due vecchi amici. Ma al cinema, Filadelfo Aparo non sceglieva i film polizieschi. Non gli piacevano. “Quando sono costretto ad andarci lo faccio per scovare i delinquenti in sala” era solito dire. “E' decisamente una vendetta della mala” disse il capo della Mobile. Aparo lascia moglie e tre figli, uno dei quali, a quel tempo, aveva appena un anno. Nel 1998 è stata intitolata in sua memoria, dal Comune di Lentini, una via cittadina. Inoltre In suo ricordo è stato piantato un albero nel Giardino della memoria che ricorda le vittime della mafia a Palermo. Il giardino è stato realizzato in un appezzamento di terreno confiscato alla mafia. Per la Polizia di Stato, Filadelfo Aparo resta «un punto di riferimento per quanti, ogni giorno, con impegno e dedizione, sono al servizio delle istituzioni e della collettività per la difesa dei valori della legalità e della democrazia». Fonte: www.isiciliani.it

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Federico II di Svevia: la corona del Sacro Romano Impero

La corona di Federico II di Svevia, simbolo del Sacro romano impero, forgiata in oro, pietre, perle e smalti cloisonné, si trova al museo delle arti di Vienna.

Fu usata per incoronare gli imperatori tedeschi del Sacro Romano Impero Germanico da Ottone I fino a Francesco II, per oltre mille anni. Fra essi Federico II di Svevia.

Probabilmente fu realizzata per l’incoronazione di Ottone I nel 962 presso l’atelier di oreficeria dell’abbazia benedettina a Reichenau in Germania, nella regione del lago di Costanza, oppure a Milano. Attraverso un complesso piano teologico la corona simboleggia anche il carattere trascendente che era tipico della sovranità terrena durante il Medioevo.

La Gerusalemme celeste era infatti immaginata con pianta ottagonale. I dodici grandi gioielli nella parte frontale rappresentano i dodici apostoli, corrispondenti alle dodici tribù di Israele nel vecchio testamento. Le quattro placche smaltate illustrano, nella loro iconografia, la liturgia dell’incoronazione. La fascia circolare deriva dalle corone dell’impero romano bizantino d’Oriente, con il quale c’era uno stretto rapporto all’epoca degli Ottoni. L’arco della sommità  allude ad analoghi archi ricoperti di piume, sugli elmi dell’impero romano. A causa di questi riferimenti nacque una corona dalla forma unica e caratteristica, chiaramente distinta da ogni altra corona occidentale.

Federico II di Svevia nacque il 26 dicembre 1194 a Jesi, nelle Marche, dall'imperatore Enrico VI di Svevia e da Costanza d'Altavilla. Conosciuto con l’appellativo stupor mundi (meraviglia o stupore del mondo) Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Mentre Federico tentava di affermare la sua sovranità sul regno, osteggiato da rivolte in Sicilia e Calabria, improvvisi sviluppi nella politica imperiale gli presentarono ben più vaste prospettive. L'imperatore Ottone IV, infatti, rivendicando diritti sul Regno di Sicilia, discese in Italia. Con ciò provocò la reazione di quanti ‒ il papa, il re di Francia e molti principi tedeschi ‒ osteggiavano un'unione tra l'Impero e il regno italiano. Federico fu il loro strumento e nel 1211 un'assemblea di principi tedeschi, deposto Ottone, decise di invitare in Germania Federico per incoronarlo re dei Romani e designarlo con ciò alla successione imperiale. Lasciata la Germania, che abbandonò sostanzialmente al suo destino, Federico si stabilì nel Regno di Sicilia, che egli si impegnò fortemente a trasformare. Riformò i tribunali e l'amministrazione del regno, riorganizzandone le strutture e creando nuove figure di funzionari. Era una novità assoluta e in molti hanno visto in lui il primo sovrano di stampo moderno.  Il 25 luglio 1215 venne incoronato re dei Romani ad Aquisgrana, con la corona imperiale. La sete di sapere spinse Federico II a ospitare presso la sua corte importanti personalità della cultura, fra cui i lentinesi Jacopo da Lentini (inventore del sonetto) e l’architetto Riccardo da Lentini, che ideò le sue maggiori opere edili fra cui il Castello Ursino di Catania e Castel del Monte, presso Bari, dalla singolare pianta ottagonale, che per molti ricorda proprio la sua corona imperiale.L'Imperatore morì mentre cercava di reagire alle disfatte subite in Italia settentrionale. La fine avvenne nel suo luogo di soggiorno preferito, Castel Fiorentino presso Foggia, il 13 dicembre 1250. La salma successivamente fu portata a Palermo e collocata in un sarcofago nella cattedrale.

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